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«Ci sono condizioni di invivibilità nel carcere di Voghera e negli ultimi mesi è peggiorata». A denunciarlo con una lettera inviata a tutti gli addetti ai lavori, a partire dal ministero della Giustizia, è l’associazione Yairaiha Onlus che si occupa fina dal 2006 dei diritti dei detenuti e degli immigrati.
Parliamo del carcere lombardo di Voghera, un istituto penitenziario aperto nell’agosto 1982. Le prime detenute donne ad elevato indice di vigilanza sono giunte il 24 settembre 1982, mentre dal 1984 si sono aggiunte anche le detenute del circuito di media sicurezza. Dal dicembre 1987 l’istituto ha ospitato detenuti esclusivamente di sesso maschile provenienti inizialmente dal vecchio penitenziario di Voghera, ospitato dal castello della città.
Oggi nell’istituto i 409 detenuti appartengono a 4 diversi circuiti con prevalenza numerica per il circuito di alta sicurezza ( As3), riservato a coloro che hanno rivestito posti di vertice nelle organizzazioni dedite al traffico di stupefacenti. «Più volte abbiamo rappresentato agli organi competenti le condizioni di invivibilità esistenti nel carcere di Voghera – scrivono quelli di Yairaiha Onlus - e più volte è stato oggetto di monitoraggi generali e mirati sia da parte del Garante Nazionale sia da parte di parlamentari nazionali ed europei che hanno puntualmente presentato relazioni e interrogazioni dal Consiglio Regionale al Presidente della Repubblica, passando per tutti gli organismi competenti, confidando in una risoluzione ottimale delle problematiche gestionali e strutturali ravvisate e rappresentate».
Denunciano che la situazione negli ultimi mesi è ulteriormente peggiorata e in continuazione ricevono segnalazioni da parte dei familiari dei detenuti che «narrano situazioni paradossali di violazioni e restrizioni spropositate e immotivate che violano la funzione rieducativa posta alla base della pena e della reclusione nella nostra Costituzione».
Ma quali restrizioni denunciano? Tempi sproporzionati per ottenere una visita medica specialistica, controllo immotivato della corrispondenza in entrata e in uscita, limitazione e riduzione delle telefonate e dei colloqui, riduzione dei generi alimentari ammessi e acquistabili. «Ogni acquisto – denuncia l’associazione Yairaiha -, anche di farmaci salva- vita prescritti dal dirigente sanitario, è sottoposto a richiesta che non viene automaticamente autorizzato. L’uso dei ventilatori nei mesi caldi – aggiunge -, autorizzato da apposita circolare ministeriale, è messo in discussione nonostante le temperature elevate e l’assenza di interventi strutturali pure segnalati e richiesti».
Si fa riferimento anche alla relazione dell’ex consigliera regionale Paola Macchi e relazione Commissione Giustizia della regione Lombardia, compresa la prevalenza delle richieste o segnalazioni al magistrato di sorveglianza che rimangono prive di risposta o intervento come denunciato dalla relazione dell’europarlamentare Eleonora Forenza.
Tutto ciò, soprattutto nelle ultime settimane, la situazione sarebbe ulteriormente degenerata e i detenuti, per essere ascoltati su bisogni primari – secondo quanto riporta l’associazione Yairaiha - sono costretti ad azioni “estreme” che vanno dallo sciopero della fame alla classica battitura, determinando altresì un clima ancora più teso sia tra la popolazione detenuta che nei rapporti con il personale. A questo punto, gli attivisti dell’associazione si chiedono che tipo di funzione rieducativa può svolgere una detenzione così stringente.
«È ampiamente dimostrato – spiega l’associazione - che mettere alla base dei percorsi detentivi il rispetto della persona e dei diritti umani, giova ai detenuti in termini di cambiamento e miglioramento, e giova alla società che un giorno dovrà riaccogliere le persone passate attraverso le maglie della giustizia in un’ottica di ricucitura dello strappo operato al patto civile con la commissione del reato». E conclude: «È il reato che con la detenzione si vuole punire, e lo Stato non può violare il dovere all’umanità».