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Pandemia carceraria
«Attualmente sono 53.965 i detenuti presenti fisicamente negli istituti penitenziari. I positivi risultano essere 658 (32 dei quali ricoverati) in 77 istituti». È quanto precisa il ministero della Giustizia «in riferimento a quanto riportato da alcuni articoli di stampa». Nello specifico, riferisce la nota del ministero, in 11 istituti si registrano più di dieci casi; in 66 istituti i positivi oscillano fra 1 e 9 casi; in 113 istituti (pari al 59,5% del totale) non si registra neppure un contagio. Per quanto riguarda gli agenti della Polizia penitenziaria, i positivi sono 824 (10 meno di ieri), tutti posti in stato di isolamento. I dipendenti amministrativi positivi sono invece 65 (1 meno di ieri). «Ciò che occorre in questa fase - sottolinea Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone - è ridurre i numeri della popolazione detenuta. Dopo l’importante contrazione registrata durante la prima ondata, il dato dei detenuti si era stabilizzato e, dopo l’estate, era ricominciato a crescere. Attualmente ci sono oltre 54mila persone per circa 47mila posti realmente disponibili. Con questi numeri, nonostante i protocolli adottati, è difficile poter contenere il diffondersi del contagio». Da settembre l’osservatorio di Antigone è tornato a visitare gli istituti penali del paese, dopo lo stop alle attività che la prima fase dell’emergenza coronavirus aveva comportato: «In molti casi - riferisce l’associazione - ci si è trovati davanti a situazioni di sovraffollamento che non aiutano il contenimento del contagio, né favoriscono l’isolamento dei detenuti positivi o di coloro che, dopo un contatto con un positivo, hanno bisogno di osservare un periodo di quarantena. Su indicazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, alcune sezioni sono state sgomberate per fare posto a reparti Covid, questo ha però prodotto un ulteriore sovraffollamento in altre aree degli istituti». Inoltre, la necessità di far osservare il periodo previsto per la quarantena ai nuovi giunti, fa sì che spesso - riferisce Antigone - questi vengano trasferiti in carceri anche a centinaia di chilometri di distanza dalla loro città per l’arco di tempo previsto e, solo dopo, ricondotti negli istituti di compentenza. Secondo il presidente di Antigone, ora «occorre intervenire attraverso la concessione di misure alternative al carcere, in primo luogo gli arresti domiciliari, per chi ha fine pena brevi o importanti patologie pregresse. Si deve inoltre, così come sollecitato dal procuratore generale presso la Corte di Cassazione, ridurre al minimo gli ingressi, utilizzando la custodia cautelare in carcere solo laddove è strettamente necessaria». Chi, invece, «non potrà uscire - aggiunge Gonnella - ha bisogno di non sentirsi abbandonato. L’angoscia che si vive nel mondo libero è infatti amplificata quando ci si trova in spazi chiusi e con un inevitabile contatto quotidiano con decine di persone. Per questo vanno potenziate le telefonate e le videotelefonate su cui alcuni istituti, dopo le concessioni della prima ondata, stavano tornando indietro. Va garantito inoltre il diritto allo studio, predisponendo la possibilità che i detenuti seguano le lezioni in dad. Questi - conclude il presidente di Antigone - riteniamo siano provvedimenti urgenti e necessari e ci auguriamo che lo stesso Comitato tecnico scientifico possa concentrare la propria attenzione sul sistema penitenziario affinché, tanto la salute dei detenuti che quella degli operatori, sia salvaguardata».