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Da tempo Giovanni Guzzetta si interroga, senza cedere a rassegnazioni, sui limiti che affliggono il sistema istituzionale e che derivano solo dalla mancanza di coraggio. Lo ha fatto in realtà persino da giovanissimo studioso quando, nel 1991, fu lui a redigere materialmente il testo del referendum Segni, quello che introdusse l’uninominale. Ha continuato con le consultazioni indette contro il porcellum e ora con La Repubblica transitoria, suo ultimo libro appena uscito per Rubbettino, mette insieme le patologie della nostra architettura istituzionale «che si riverberano, fino a penalizzarla, sull’attuale maggioranza e sull’efficacia della sua azione così come avverrebbe con qualunque maggioranza si formasse nel nostro Parlamento». Ma a proposito del Parlamento, il professore di Diritto costituzionale dell’università Tor Vergata ha scelto di dedicarsi in modo specifico anche «al tema dell’autonomia delle Camere», non solo come studioso. «Anzi, in questo caso si tratta della mia attività professionale di avvocato: difendo alcuni degli ex parlamentari che ricorrono contro il ricalcolo dei vitalizi. Ho predisposto un attacco multilaterale, per così dire, con quattro grimaldelli giuridici che contestano l’intervento appena riproposto dall’ufficio di presidenza di Palazzo Madama in forma perfettamente analoga a quanto già stabilito a Montecitorio». Da pochi giorni centinaia di ex senatori hanno ricevuto la nota con cui gli uffici comunicano che il trattamento economico sarà interamente ricalcolato in base al metodo contributivo. Una modifica che appunto non riguarda solo i vitalizi dei parlamentari che si congederanno in futuro Ma anche quelli che già da anni ricevono gli assegni.
In effetti nel taglio dei vitalizi, in quanto retroattivo, balza agli occhi un profilo di incostituzionalità: eppure, da quanto si è capito finora, è impegnativo ottenere che la Consulta si pronunci su tale illegittimità. Com’è possibile che una violazione piuttosto chiara dei princìpi sia sottratta al vaglio della Corte?
Se avviene, anzi finora è avvenuto, è perché sussiste un vulnus proprio nel meccanismo che dovrebbe preservare l’autonomia delle Camere. Vede, io non ho interesse a entrare merito della scelta, politica, di colpire situazioni pregresse. Mi limito ai vizi del modo in cui lo si è fatto, lo trovo illegittimo e tale rilievo è sostanza dei ricorsi che ho predisposto. Si è pensato di equiparare il trattamento dei parlamentari a quello di tutti gli altri cittadini: e si è dunque ritenuto, potremmo dire, di eliminare le prerogative della “casta”. Però, questo il paradosso, lo si è fatto con uno strumento che è tipico della “casta”: i poteri di autonomia, difficilmente attaccabili perché asseritamente assistiti dallo scudo dell’autodichia. Il ricalcolo dei vitalizi è stato deliberato sotto forma di regolamento minore: eppure il regolamento minore è una via normativa riservata esclusivamente alle questioni amministrative interne delle due Camere.
Una “legislazione riservata alla casta”, per semplificare.
Ecco. Ed è questo il paradosso all’origine di tutti i problemi giuridici.
Di quali, per esempio?
Di quello che lei ha posto all’inizio: la difficoltà di ottenere la pronuncia della Corte sulla illegittimità costituzionale di una misura che agisce retroattivamente.
Finora la Corte ha ritenuto di non poter essere chiamata a pronunciarsi sui regolamenti minori.
Solo che l’oggetto della questione, il ricalco dei vitalizi, è tipicamente riconducibile alla sfera dell’autonomia del singolo parlamentare. Il singolo parlamentare però non ha potuto concorrere a determinare la decisione perché ad assumerla non è stata l’Assemblea ma il solo ufficio di presidenza.
Chiarissimo. Però chi ha favorito questa soluzione dirà che nell’ufficio di presidenza si proietta la composizione dell’Aula.
Un momento. Premesso che in base alla Costituzione i regolamenti parlamentari maggiori possono essere modificati solo dall’Assemblea e con maggioranza qualificata, basta guardare ai meccanismi con cui si formano gli uffici di presidenza di Camera e Senato per accorgesi che non necessariamente rispondono a un criterio di assoluta proporzionalità. Certamente non il Consiglio di presidenza del Senato. Ora, le delibere dell’ufficio di presidenza sono appunto regolamenti minori. I regolamenti maggiori sono riservati all’Assemblea, e sono i soli che possono intervenire su scelte essenziali. Anche a non voler considerare che la materia sia assoggettata alla riserva di legge di cui all’articolo 69 della Costituzione, cosa che io credo, mi pare davvero problematico considerare la disciplina dei vitalizi come un affare interno all’amministrazione e dunque demandabile ai regolamenti minori. E la circostanza che si sia sempre fatto così non lo rende meno illegittimo.
E come si fa emergere l’inadeguatezza dello strumento normativo?
Il ricorso andrà presentato anche al giudice ordinario. La soluzione non può essere negli organi di giustizia interna.
La cosiddetta autodichia?
Si chiama commissione Contenziosa. È già arduo sostenere che tale organismo abbia i requisiti perché lo si possa definire un “giudice”. Nel caso di Palazzo Madama, a nominarne i componenti è il presidente del Senato, che guida ovviamente anche il Consiglio di presidenza, cioè lo stesso organo che ha adottato la delibera sui vitalizi. Secondo la sentenza Savino della Corte europea dei Diritti dell’uomo, il collegio non può pronunciarsi su deliberazioni a cui abbiano partecipato i singoli componenti. E qui, i singoli componenti della commissione Contenziosa non siedono pure nell’ufficio di presidenza, ma sono stati comunque nominati da chi è alla guida di tale ufficio.
Quindi: non va bene lo strumento normativo adottato e neppure il giudice a cui presentare ricorso. Gli altri due grimaldelli?
Riguardano il conflitto di attribuzioni. Il fatto che su unamateria tipica dell’autonomia del Parlamento abbia deciso un organo che può adottare solo delibere minori lede le prerogative di ciascun singolo parlamentare. Finora, la Corte costituzionale non ha sciolto il nodo della titolarità del singolo deputato o senatore a sollevare conflitto di attribuzioni. Ma io credo che qui sussistano tutti gli elementi affinché la Corte riconosca tale possibilità.
E perché il singolo deputato o senatore può dirsi leso dalla delibera sui vitalizi?
Perché viene messa a rischio la sua autonomia, sotto due profili. Primo, si interviene retroattivamente, dunque si afferma il principio in base al quale in futuro il Parlamento potrà incidere sulle deliberazioni del parlamentare oggi in carica. In secondo luogo, se una delibera minore dell’ufficio di presidenza interviene sui vitalizi, si incide sulla prerogativa del singolo parlamentare a concorrere al processo decisionale nelle forme proprie del procedimento legislativo se si ritiene la materia riservata alla legge, come penso, o del regolamento maggiore se la si ritiene riservata all’autonomia, ma in questo caso dell’intera Camera.
Siamo a tre grimaldelli, professore. Il quarto?
È analogo al precedente ma riguarda gli stessi ex parlamentari. I quali, a mio giudizio, sono a loro volta titolati a sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Consulta. Lo dico anche in riferimento alla sentenza con cui la Corte costituzionale del 2004 ha riconosciuto le prerogative di Cossiga a tutelarsi anche dopo aver cessato il proprio mandato.
Quattro ingranaggi che non vanno.
Lo sosteniamo nei ricorsi messi a punto per gli ex parlamentari. E sono convinto che la Corte costituzionale e il giudice ordinario ci daranno ascolto.
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