PHOTO
Ha sollevato molte polemiche l’ordinanza, ribattezzata dal deputato della Lega Nord Paolo Grimoldi “salva clandestini”, con cui il giudice Guido Salvini, della Prima sezione penale del Tribunale di Milano, ha sospeso il mese scorso il processo nei confronti di un 29enne algerino accusato di possesso di banconote false. L’uomo, senza fissa dimora in Italia, era stato indagato in stato di libertà nel febbraio del 2014. Privo di un legale di fiducia, la polizia giudiziaria operante aveva provveduto alla nomina di uno d’ufficio. Il difensore, come capita nella quasi totalità di questi casi, negli anni non aveva però mai visto il suo assistito, pur continuando a ricevere gli atti processuali.
Scrive il giudice: «Vi è da chiedersi se da tale elezione di domicilio, del tutto formale se non fittizia, possa ricavarsi la prova della conoscenza da parte dell’imputato della celebrazione dell’udienza a suo carico». E considerato che «quello che si celebrerebbe è un processo a un “fantasma”, rinvia l’udienza disponendo che sia notificato avviso all’imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria, riservandosi qualora tale notificazione non sia possibile l’adozione di ordinanza di sospensione ( insieme ai tempi di prescrizione del reato) del processo». Circa il 15% dei processi che si celebrano annualmente al Tribunale di Milano hanno imputati nelle medesima condizione del 29enne algerino. Soggetti perlopiù accusati di furto, ricettazione, truffa, occupazione abusiva di im- mobili e resistenza a pubblico ufficiale, reati cd “minori” ma di grande impatto sulla collettività.
Si tratta di processi in cui l’avvocato d’ufficio non ha elementi per difendere il proprio assistito, né una sua procura per scegliere riti alternativi ( rito abbreviato o patteggiamento), e dove la decisione del giudice si basa solo sugli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero.
L’ordinanza, oltre a citare la sentenza n. 19388 dello scorso gennaio della Seconda sezione penale della Cassazione secondo cui l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio di per sè non prova la conoscenza del processo, fa riferimento anche a due sentenze della Cedu, del 2004 e del 2007, che censurano la prassi dei tribunali italiani di portare a processo imputati stranieri ignari, violando quindi l’articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo che disciplina il giusto processo e il divieto di discriminazione. Sul punto è intervenuto il recente ddl giustizia che consente agli avvocati di non accettare l’elezione di domicilio se non riterranno di potere davvero sostenere la difesa. A favore di Salvini si è schierata l’avvocatura. Monica Gambirasio, presidente della Camera penale di Milano, ha sottolineato come «in caso di incertezza della conoscenza del processo non rimane che sospenderlo. Così si risparmiano anche risorse economiche della giustizia, già limitate» . Andrea Del Corno, del Consiglio dell’Ordine del capoluogo lombardo, ha evidenziato come questo provvedimento dia “dignità” al ruolo del difensore d’ufficio, restituendogli un ruolo attivo e non solo “formale” nel processo.
Il rischio che questa ordinanza si possa trasformare in una amnistia strisciante è molto concreto. Appare alquanto improbabile, infatti, che le Forze di polizia, nell’attuale contesto, si concentrino sulla ricerca di soggetti ritenuti responsabili di reati che non vanno sulle prime pagine dei giornali. Sarebbe, dunque, l’ammissione che lo Stato ha rinunciato alla sua pretesa punitiva.