Graziano Mesina, l’ex primula rossa del banditismo sardo, è morto poche ore dopo essere stato scarcerato: il tribunale di sorveglianza di Milano aveva accolto la settima istanza dei suoi avvocati, che chiedevano il differimento della pena per motivi di salute. L’ex bandito, è stato poi ricoverato nel reparto penitenziario dell’ospedale San Paolo di Milano, dove è morto.

Dopo più di 40 anni di detenzione – tra fughe rocambolesche e bravi latitanze – la situazione clinica era divenuta insostenibile, spingendo la difesa a presentare nuovamente un’istanza di differimento della pena. Nonostante in passato le richieste siano state respinte sei volte, questa volta il tribunale ha dovuto prendere atto che il carcere non è compatibile con lo stato di salute del detenuto. Il personale medico del San Paolo ha dichiarato di non poter più intervenire, evidenziando la gravità della situazione. Le legali hanno anche ricordato i tentativi di trasferimento in Sardegna, sempre rifiutati, che avrebbero potuto alleviare i patimenti grazie alla vicinanza dei familiari e a un ambiente più adatto alle necessità cliniche del loro assistito.

Graziano Mesina nasce il 4 aprile 1942 a Orgosolo, in un piccolo centro montano della provincia di Nuoro. Fin da giovane, immerso in un contesto di povertà, isolamento e faide, si confronta con le dinamiche del banditismo barbaricino, dove – come ogni organizzazione di stampo mafioso si rispetti – giocavano un ruolo fondamentale la retorica dell’onore e della lealtà familiare. Il suo primo arresto arriva a soli 14 anni per possesso illegale di armi e, negli anni Sessanta, viene condannato per omicidio, un episodio che ancora oggi alimenta narrazioni contrastanti. La sua figura si arricchisce di una serie di evasioni rocambolesche: fughe da carceri di massima sicurezza, inseguimenti nelle montagne del Supramonte e settimane di latitanza tra campagne e rifugi segreti. In questo scenario, il soprannome di “bandito gentiluomo” nasce dalla sua capacità di alternare gesti di violenza a momenti di apparente generosità, sebbene la realtà fosse ben diversa, segnata da crimini e tensioni.

Durante gli anni ’ 60 e ’ 70, Mesina diventa un protagonista indiscusso della cronaca nera italiana. Le sue imprese fanno scuola, rendendolo l’inevitabile oggetto di ammirazione da una parte della popolazione che cede al fascino. Nel 1992, mentre era in libertà condizionale, si attribuì il ruolo di mediatore tra i sequestratori e la famiglia del piccolo Farouk Kassam, rivelando in anteprima al Tg1 l’avvenuta liberazione. Tornò dentro nel 1993 dopo il ritrovamento di armi da guerra nel cascinale di San Marzanotto d’Asti. Divenne subito “leggendario”, un criminale astuto, capace di muoversi tra legalità e clandestinità, ma anche simbolo di una storia che attraversa le trasformazioni della società sarda. Nel 2004, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, su impulso dell’allora dal Ministro della giustizia Roberto Castelli, concesse la grazia a Mesina. Per un breve periodo sembrò voler cambiare: aprì un’agenzia turistica a Orgosolo e partecipò a incontri pubblici. Ma il passato non gli diede tregua: nel 2013 fu arrestato nuovamente con l’accusa di traffico di droga e favoreggiamento di sequestri. Ciò gli costò una condanna a 30 anni, e l’inevitabile revoca della grazia. E qui il suo ultimo colpo di coda: la fuga per evitare la carcerazione dopo la sentenza definitiva pronunciata in Cassazione nel luglio 2020. Dopo una latitanza di circa un anno e mezzo, venne catturato a Desulo. I tempi in cui era la giovane primula rossa del banditismo sardo e riusciva a nascondersi tra rocce e arbusti erano ormai lontani. A dicembre 2021 si riaprono i cancelli del carcere, chiudendo un ulteriore capitolo della sua vita.

La storia di Graziano Mesina non è solo quella di un criminale che ha sfidato le istituzioni, ma anche quella di un personaggio che incarna le contraddizioni di un’intera regione. Per alcuni è l’ultimo esponente di un mondo antico; per il resto della società civile, è solo il simbolo di un passato da cui prendere le distanze. Oggi, con la sua scarcerazione, la cronaca si ferma a un nuovo e ultimo capitolo, segnato dalla sofferenza e dalla consapevolezza che il carcere non può più offrire le cure necessarie a chi, come Mesina, è ormai in fin di vita.