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«Con l’avvocatura vi sono importanti convergenze su alcuni temi della giustizia». Inizia così l’intervista a Pasquale Grasso, presidente dell’Anm, giudice civile al tribunale di Genova ed esponente di Magistratura indipendente, la corrente moderata delle toghe.
Riformare la giustizia, da Mani pulite in poi, è una delle priorità di tutti i governi. Per il vicepremier Matteo Salvini il sistema così non funziona ed è necessario intervenire urgentemente, non condividendo molte delle modifiche volute dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Come lo stop della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Cosa non va e da dove bisognerebbe iniziare?
Occorre distinguere la materia civile da quella penale, e ricordare sempre – è una premessa necessaria - che la giustizia non è solo giustizia penale, e che anzi la materia civile è quella che di fatto e in modo davvero concreto incide sulla vita dei cittadini “normali”, come singoli e come società. Se ricordiamo ciò, nel settore civile il vero elemento di crisi è nella strutturale carenza di risorse, umane, economiche e materiali. Il “rito” invece - grazie anche a un susseguirsi ultradecennale di piccoli e meno piccoli “aggiustamenti”, e soprattutto grazie alla sincronica professionalità di magistrati e avvocati ( che, ad esempio, insieme si sono trovati ad affrontare la “rivoluzione” del pct) funziona bene ed è ormai uno strumento moderno e in grado di coniugare in modo soddisfacente l’accertamento dei diritti delle parti e la potenziale rapidità della risposta di giustizia. Certo, come ogni cosa umana, è perfettibile, ma non è certo un fattore di crisi, non può essere assolutamente individuato in sé come causa, ad esempio, della eccessiva durata delle controversie. Questo abbiamo chiarito, come Anm, al ministro della Giustizia quale premessa della pur completa disponibilità a fornire il nostro contributo alle ipotesi di riforma “portate avanti” dall’esecutivo. È invece del tutto evidente, per fare un esempio, che il tempo ( e la qualità) della risposta di giustizia che si può pretendere da un giudice chiamato a trattare 1500, 800, 600 o 300 fascicoli contemporaneamente, non possa essere il medesimo. Facciamo in modo di chiamare ciascun giudice a trattare un numero adeguato di cause.
Il vero “malato” è il processo penale?
In campo penale, effettivamente, il codice di rito mostra, a 30 anni dalla sua approvazione, alcuni importanti limiti. È un sistema complesso, e a fronte di un nucleo di possibili interventi condivisi tra magistratura e avvocatura, permangono posizioni divergenti sotto profili specifici. Mi limito a dire però, come fatto in passato, che interventi urgenti e poco raccordati, magari sull’onda di spinte emotive contingenti, potrebbero condurre a risultati a lungo termine non apprezzabili. Devo evidenziare che con l’avvocatura vi sono importanti convergenze su temi relativi all’udienza preliminare, di cui si vuole rafforzare la funzione di filtro, e ai riti alternativi, nonché su forme di depenalizzazione condizionata, e confido che il legislatore ne vorrà tenere conto. Poi vi sono aspetti che, come Anm, riteniamo importanti comunque, come la necessità di semplificazione del procedimento di notifica, la modifica della disciplina delle letture consentite nel dibattimento, l’abolizione del divieto di reformatio in peius in appello, la reintroduzione dell’appello incidentale del pm. Tutte proposte finalizzate a ridurre le tempistiche processuali.
A proposito del numero di fascicoli che un giudice può gestire in maniera efficace, una storica battaglia di Magistratura indipendente riguarda proprio i ' carichi esigibili'. Un giudice, mediamente, quante sentenze può scrivere in un anno?
Le sentenze, civili e penali, non sono tutte uguali, non tutte richiedono il medesimo tempo di studio e di redazione. Inoltre non va dimenticato il lavoro di gestione del processo, che “sta dietro” ogni singolo fascicolo trattato. Numeretti non si possono dare, e non abbiamo mai inteso darne. L’Anm ha finalmente colto il senso della battaglia sui carichi esigibili, elaborando uno studio di “pesatura” delle singole materie trattate dai giudici civili e penali, che si riverbera sul carico di lavoro esigibile dal singolo giudice nel periodo di riferimento. Trasmetteremo questo studio al Csm e confidiamo sarà tenuto nella dovuta considerazione.
Il processo, dice la Costituzione, deve svolgersi in tempi ragionevoli. Quali sono secondo lei?
La sua domanda, per come è posta, induce a dare numeri. E io non ne voglio dare. Mi limito ancora una volta a evidenziare che, calandoci nel concreto della realtà, i tempi ragionevoli sono quelli consentiti dal contesto strutturale e dalle risorse della macchina giustizia. Se invece per ragionevole intendiamo il tempo che sarebbe giusto aspettarsi in una società ideale, cui tendere, allora è una domanda da porre a chi fa un lavoro diverso dal mio, a chi è chiamato a determinare la quantità di risorse dedicate a un settore di importanza primaria come quello della giustizia.
L’eccessiva durata dei processi resta un problema serio. L’Anm lamenta sempre mancanza di risorse. Leggendo però le statistiche del ministero della Giustizia, l’incidenza della prescrizio- ne tra i diversi uffici giudiziari varia da distretto a distretto ed è il più delle volte indipendente dalle carenze d’organico. Dipende in larga misura dall’organizzazione individuata dai singoli capi ufficio, più o meno sensibili al controllo di gestione. Non sarebbe il caso di far funzionare meglio i tribunali?
La sua domanda sconta la visione panpenalistica del sistema. Volendo comunque seguirla in questo ambito, evidenzio che le statistiche che lei cita fanno riferimento a uno solo dei molteplici indici dello stato di salute della giustizia penale, che valutato isolatamente e senza considerazione del sistema complessivo, nulla dicono di reale. Aggiungo che per troppo tempo i giudici si sono fatti personalmente carico della carenza di risorse sviluppando al massimo grado l’attenzione per il migliore assetto organizzativo del proprio lavoro. Direi che siamo giunti al grado massimo di sforzo sotto questo profilo. Affermare che occorra far funzionare meglio i tribunali, quindi, è una bella frase ad effetto, ma del tutto distaccata dalla realtà.
Il Csm ha recentemente punito con l’ammonimento Michele Emiliano per l’iscrizione al Pd. Un magistrato può ricoprire qualsiasi ruolo in politica a condizione che non abbia in tasca la tessera di un partito. Non le sembra una ipocrisia?
I magistrati, ferme le specifiche limitazioni di legge, sono cittadini con gli stessi diritti politici degli altri. Ciò posto condivido l’assoluta opportunità di una netta cesura tra l’attività politica e il lavoro di magistrato, e apprezzerei comunque un maggior rigore nell’applicazione delle norme esistenti.
Avvocato in Costituzione. Condivide la proposta del Cnf recentemente tradotta in un ddl di modifica dell’art. 111?
I costituenti hanno già dedicato uno speciale rilievo alla figura dell’avvocato ( membri laici del Csm, possibili componenti della Cassazione, giudici della Corte Costituzionale), figura nella quale si materializza e incarna il diritto, posto dall’art. 24, alla difesa «inviolabile in ogni stato e grado del procedimento». Le modifiche costituzionali cui lei fa riferimento e che ho letto, mi pare nulla aggiungano al ruolo costituzionale del difensore quale elemento fondamentale e dinamico della funzione giurisdizionale. Mi sembra siamo al cospetto di una proposta che ha limitato significato concreto.
Sugli incarichi direttivi il Csm è stato più volte “bacchettato” dal giudice amministrativo. Che opinione al riguardo?
Non entro ovviamente nel merito delle singole vicende. Posso dire di aver apprezzato molto lo sforzo dell’attuale Csm volto a rendere le proprie decisioni, pur sempre prerogativa di autogoverno, maggiormente aderenti ai profili di più idonea e concreta motivazione, la cui esigenza è alla base di molti interventi del giudice amministrativo.
È favorevole, per evitare il “condizionamento” delle correnti nella scelta dei capi degli uffici, alla rotazione degli incarichi?
Vorrebbe essere la soluzione al problema, sottinteso, della “corsa” ai ruoli direttivi e della non sempre adeguata valutazione degli aspiranti, da parte del Csm. Ebbene ritengo sia una soluzione che perde ogni fascino una volta in cui si analizzi con serietà la questione, che ha forti elementi di comunanza con la proposta di sorteggio per i componenti togati del Csm.
Ha anticipato la mia domanda. Bonafede sarebbe favorevole al sorteggio per i componenti del Csm….
Guardi, io in passato, da giudice di tutti i giorni e in tempi di minore impegno associativo, mi sono avvicinato senza pregiudizi alla questione. Pensi che partecipai alla effettuazione di un sorteggio parallelo di possibili candidati rispetto a una delle passate elezioni per il Csm. L’esperienza maturata mi induce oggi a essere radicalmente contrario. Tanti gli argomenti tecnici dietro il no: è un sistema incostituzionale; svuoterebbe di significato il concetto stesso di autogoverno; condurrebbe subdolamente a minore profilo di indipendenza dei componenti, e così dell’organo. Mi limito a segnalare, molto concretamente, come anche l’argomento base usato dai sostenitori del sorteggio, e cioè quello per cui qualsiasi giudice sarebbe in grado di far fronte all’attività di alta amministrazione e di autogoverno proprie del Csm, è in definitiva semplicistico e nega la complessità del sistema. Non è così. Noi giudici ci specializziamo, studiamo anni, approfondiamo le materie che trattiamo, non siamo certo dei tuttologi. La competenza, la preparazione, la conoscenza ordinamentale, l’attitudine a essere parte di un organo decisionale così articolato, sono qualità, richieste a un consigliere del Csm, che non si improvvisano. Ecco, il sorteggio mi pare si risolva in una risposta improvvisata a una questione complessa.
Lei è anche giudice tributario. La giurisdizione tributaria è attualmente composta per la maggior parte di magistrati togati. Sono state depositate in Parlamento delle proposte di modifica che prevedono di eliminare l’attuale “part- time” a favore di giudici di carriera, scelti per concorso ed impiegati in via esclusiva. Condivide?
Non condivido assolutamente. Ritengo che i togati abbiano assicurato un tasso di qualità indispensabile a un settore il cui rilievo economico è spesso misconosciuto. Mi pare di capire che giudici di carriera sarebbero soggetti necessariamente diversi dagli attuali componenti togati. Non riesco a capire in che modo potrebbe conservarsi un accettabile livello di preparazione.
Il 9 maggio il Csm ha organizzato un seminario di studi sulla dignità della persona, sulla libertà di autodeterminazione e sulla disciplina del fine vita alla luce dell’ordinanza della Corte Costituzionale sul caso “dj Fabo”. Fino a che punto può spingersi il potere interpretativo del giudice nel campo dei “nuovi” diritti?
Questa è una domanda, appunto, da convegno giuridico. Mi limito a dire che, da giudice e da cittadino, l’attività di supplenza del giudice vorrei fosse qualcosa di assolutamente residuale. La politica abbia la capacità di dare una risposta rapida e responsabile a questioni di così alto rilievo.
Ieri il capo dello Stato ha firmato la legge sulla legittima difesa con alcune “riserve.”
La lettera del Capo dello Stato costituisce un rilievo di altissimo valore sociale, politico e direi morale, evidenziando il fatto che lo Stato non può e non deve abdicare, nemmeno in minima parte, al proprio compito di tutela dei cittadini. Insomma, nessuna privatizzazione o individualizzazione dell'ordine e della sicurezza pubblica.