L’anno scorso c’erano andati vicino, stavolta i penalisti si sono fermati sul serio: tre giorni di astensione dalle udienze, iniziati ieri. Una protesta ferma di fronte a un piano delle riforme in materia di giustizia che si fa sempre più inclinato. Soprattutto da quando Piercamillo Davigo è diventato presidente dell’Anm. Sarà un caso ma più o meno in coincidenza con la sua elezione il dibattito sulla riforma penale ha preso una piega assai meno garantista. In particolare su un tema centrale, quello della prescrizione, che l’Unione Camere penali segnala non a caso come «l’aspetto sul quale è più necessario fare finalmente corretta informazione».A promuovere la tre giorni di stop dell’attività forense è appunto l’Ucpi, che riunisce tutti gli avvocati penalisti del Paese. «I riscontri che ci arrivano dalle sedi giudiziarie riferiscono di un’adesione pressoché generalizzata», spiega Francesco Petrelli, che dell’Unione Camere penali è segretario. È lui a illustrare l’iniziativa con il presidente Beniamino Migliucci: oggi il tempo eccezionalmente sottratto alle udienze verrà dedicato al grande evento sulla giustizia penale organizzato in Cassazione, nella sala consiliare del Palazzaccio, con l’Ordine degli avvocati di Roma. Interverranno molti protagonisti del confronto politico: dai sottosegretari Federica Chiavaroli e Gennaro Migliore ai responsabili Giustizia dei due partiti che hanno in mano la riforma del processo, Pd e Nuovo centrodestra. «Noi non protestiamo contro il governo, contro il Parlamento o la magistratura: vogliamo invitare a riflettere sui numeri. Li ha forniti nei giorni scorsi proprio il ministro della Giustizia», dice Petrelli. Migliucci fa notare: «Si conferma la massima incidenza di reati prescritti tra la fase delle indagini e il primo grado: è lì che viene pronunciato l’80% delle sentenze di prescrizione. Vuol dire che le indagini sono troppo lunghe, e questo incide anche sulla natura del processo: a furia di concentrare tutta l’attività al di fuori del contraddittorio tra le parti c’è un lento ma sostanziale ritorno al modello inquisitorio».Allo stato il disegno di legge che riforma il processo penale custodisce al proprio interno il testo sulla prescrizione uscito dalla Camera. Un intervento che così com’è scritto allunga a 21 anni e 9 mesi la durata massima di un processo per corruzione propria. «È una truffa sostenere che per assicurare la ragionevole durata dei procedimenti», nota Petrelli, «si deve portare il limite della prescrizione a soglie così elevate». In teoria la maggioranza, cioè dem e alfaniani, dovrebbe trovare un accordo su questi aspetti nel corso dell’esame in commissione Giustizia. Ma quell’intesa non è a portata di mano. E a metterla in pericolo è anche l’irrompere di Davigo sulla scena. Migliucci non usa mezzi termini: «La strategia dell’Anm è chiara: accreditarsi davanti all’opinione pubblica a discapito della politica. E per ottenere il risultato, Davigo ha pensato bene di far passare un’equazione semplice semplice: se il governo, il Parlamento non adottano le misure che suggeriamo noi magistrati, sono senz’altro collusi con i criminali. In questo modo la politica viene messa in grande difficoltà». Da qui appunto la scelta delle Camere penali: far sentire una voce contraria, informare sulla base delle statistiche, di quel 40% di sentenze che viene riformato in appello, per esempio. «La politica deve ritrovare la propria autorevolezza, secondo quanto le riconosce la Costituzione. E deve decidere liberamente, senza lasciarsi sopraffare da alcuno, che si tratti di magistrati o di avvocati». Una rinascita che non si scorge a portata di mano. E che gli avvocati vogliono provare a sollecitare.