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La giustizia è «morta», vittima di una politica che non le riconosce il suo ruolo fondamentale nella società, ovvero quello di “sistema sanitario” della legalità del Paese. E per manifestarlo, decine di avvocati si sono ritrovati ieri davanti alla Cassazione, con tanto di bare e manifesti funebri, per celebrarne il funerale e chiedere al Governo un impegno concreto per far ripartire veramente la Giustizia. È questo il senso del flash mob di ieri, organizzato dall’Ordine degli avvocati di Roma e partecipato dalle associazioni forensi, che si sono riunite per mandare un segnale forte, esponendo lo striscione col motto «# non ti posso difendere» e sottolineare che «è morta la tutela dei diritti e delle libertà di milioni di cittadini», come recita l'annuncio funebre esibito dagli avvocati. Una manifestazione che ha rappresentato l’urlo degli avvocati italiani, «stanchi di promesse non mantenute, di vedere i diritti dei cittadini relegati all’ultimo posto dell’agenda di governo, di udienze rinviate, di processi telematici farraginosi», ha spiegato il presidente del Consiglio dell’Ordine Antonino Galletti. Parlando a nome del «popolo degli avvocati», Galletti si è rivolto direttamente a Giuseppe Conte e Alfonso Bonafede, chiedendo «una maggiore attenzione per il comparto della Giustizia», che in tre mesi di lockdown ha incassato lo stop dell' 80% dei processi civili e penali.
«Noi siamo il fanalino di coda della ripartenza del nostro Paese, non possiamo permettercelo perché noi avvocati vogliamo tutelare i diritti e le libertà dei cittadini stando al loro fianco e i nostri studi costituiscono tanti presidi di legalità sul territorio», ha sottolineato. Ma nonostante ciò, i tempi della Giustizia sono ancora imbrigliati in miriade di linee guida - circa 500 -, assunte dai vari capi degli uffici giudiziari per volere proprio del Governo, che nella gravosa gestione dell’emergenza ha di fatto delegato ai singoli la gestione di uno dei settori fondamentali della società. «Il ministro deve assumersi la responsabilità politica delle scelte - ha affermato Galletti - e adottare delle linee guida uniformi su tutto il territorio. È necessario che le udienze ricomincino a volgersi in condizioni normali. Riteniamo si possa ripartire in sicurezza con il rispetto delle norme sanitarie». La situazione è difficile in tutto il Paese, ma Roma vale come esempio delle difficoltà strutturali, che precedono l’emergenza e che oggi, con i processi praticamente fermi, diventano ancora più evidenti: nella Capitale, infatti, gli uffici giudiziari si trovano per lo più in caserme inadatte, nonostante esistano strutture già individuate ma ferme da anni, con piante organiche sguarnite. E servono strumenti informatici, senza i quali ogni opzione di processo da remoto - pur respinta dall’avvocatura - risulta impossibile.
«Non abbiamo nessun particolare piacere a entrare nelle cancellerie, rischiando di infettarci e infettare, vogliamo fare tutto per via telematica e andare in tribunale solo per fare le udienze, nel posto che compete all’avvocatura», ha aggiunto Galletti. In un mondo sempre più informatizzato, dove tutto è possibile con un click, la Giustizia risulta infatti ferma alla preistoria anche per questioni semplici, come ottenere le copie di un atto. «Non è più accettabile», ha ribadito il presidente del CoA, spalleggiato da Giovanni Malinconico, a capo dell’Organismo congressuale forense. Che ha ribadito la battaglia «unitaria» dell’avvocatura affinché sia possibile «la tutela dei diritti di tutti», ricordando come la Giustizia non sia solo il processo dal grande clamore mediatico. «Ci si dimentica che nei nostri tribunali sono ostaggio di un sistema inefficiente i diritti dei cittadini, delle imprese e del sistema Italia.
Non c’è ripresa del Paese se non riprende la Giustizia», ha urlato dal palco. Per questo, ha spiegato Malinconico, l’avvocatura ha chiesto al Governo «un piano straordinario per il rilancio della Giustizia, ma finora non abbiamo ricevuto risposte. Speriamo che questa manifestazione sia un segnale che il ministro Bonafede possa intendere, al quale in caso contrario seguiranno altre iniziative forti».