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Si fa sempre più vicina la possibilità che sul fronte carcere si possa varare una legge che inserisca la giustizia riparativa. L’accordo potrebbe essere bipartisan, anche perché da ormai quasi un anno giace la proposta di legge che ha come primo firmatario il deputato del M5s Devis Dori. Tra i firmatari c’è anche l’attuale presidente della commissione Giustizia Mario Perantoni, appartenente anche lui agli M5S e a seguire la firma di altri deputati del Pd. Il momento è propizio anche perché la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, l’anno scorso ha scritto il libro "Un'altra storia inizia qui, storie di giustizia riparativa", assieme al criminologo Adolfo Ceretti. La giustizia riparativa prova a "superare" la logica del castigo Ed è quest’ultimo a spiegare che la giustizia riparativa si tratta di un paradigma che prova a «superare la logica del castigo, muovendo da una lettura relazionale del fenomeno criminoso, inteso primariamente come un conflitto che provoca la rottura di aspettative sociali simbolicamente condivise. Il reato non dovrebbe più essere considerato soltanto un illecito commesso contro la società, o un comportamento che incrina l’ordine costituito, e che richiede una pena da espiare, bensì come una condotta intrinsecamente dannosa e offensiva, che può provocare alle vittime privazioni, sofferenze, dolore e persino la morte e che richiede, da parte del reo, principalmente l’attivazione di forme di riparazione del danno provocato».Come spiegano i deputati stessi che hanno presentato la legge, dalle parole di Ceretti si comprende la più importante intuizione della giustizia riparativa: il fatto penalmente rilevante non è solo la violazione di una norma giuridica, ma è una violazione della persona e delle relazioni. Il principale obiettivo è quindi la riparazione dell’offesa arrecata alla vittima, ai familiari e alla comunità. La riparazione si differenzia in modo netto dal risarcimento: quest’ultimo compensa il danno materiale e quello morale alla vittima; la riparazione invece restituisce alla vittima fiducia, autostima, senso di sicurezza, legami sociali. La proposta limita il modello nell’ambito del procedimento penale minorile La proposta di legge però limita il modello della giustizia riparativa solamente nell’ambito del procedimento penale minorile e con esso uno dei suoi principali strumenti operativi, ovvero la mediazione penale. Ma sono nodi facili da sciogliere. Il principio espresso nella presentazione della legge è identico a chi vorrebbe – come contemplava la riforma originaria dell’ordinamento penitenziario - estendere la giustizia riparativa anche per gli adulti. C’è una convinzione collettiva che il crimine sia un’offesa contro lo Stato, che le persone che commettono un reato debbano essere punite esclusivamente con la detenzione carceraria e che le decisioni sul come trattare gli autori di reato debbano essere eseguite da parte di amministratori della giustizia attraverso un procedimento legale formale. Ciò che è incredibile della “giustizia riparativa” è che modifica tutte queste assunzioni: essa vede infatti il crimine non come un’offesa contro lo Stato, ma come un danno alle persone e alle relazioni e, invece di punire gli autori del reato esclusivamente con la galera, si preoccupa di riparare il dolore inflitto dalla commissione del crimine. Non solo viene presa in considerazione la vittima, ma anche tutte le vittime del reato specifico. Pensiamo a chi si è macchiato di violenza sessuale. L’incontro non deve avvenire necessariamente con la sua vittima, ma con un gruppo di persone vittime di tale violenza. Le vittime e l’autore del reato possono così ricoprire un ruolo attivo, così come la collettività, che può sostenere la vittima e aiutare l’autore di reato ad attenersi agli accordi presi per la riparazione del danno. Forse è il momento giusto per poter finalmente progredire: superare l’idea della sanzione come pena e mirare a ricostruire una relazione tra le persone coinvolte, vittime e colpevole.