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Con la riforma in arrivo, anche gli avvocati potranno far parte dell'ufficio Studi e documentazione del Csm
«Nessuno, in nessun modo, può affermare che la giustizia sia ferma per colpa degli avvocati. E chi lo fa è in malafede». Il grido è corale e sul punto tutti sono d’accordo, sia i penalisti sia i civilisti. La giustizia è ferma perché, semplicemente, non si fanno processi. E non può essere una scusa la ferma opposizione di buona parte della categoria contro il processo da remoto: anche lì dove è stato utilizzato la ripresa non c’è stata. Una posizione condivisa sia da coloro che vedono nelle udienze virtuali la morte del giusto processo, sia da coloro che nella tecnologia vedono una risorsa. I numeri parlano chiaro: le cause trattate, nel settore penale, oscillano tra il 20% e il 25% rispetto a quelle iscritte a ruolo. Nel civile, invece, sono solo il 15%. Dati resi noti dall’Osservatorio delle Camere penali italiane e dall’Unione delle camere civili, che hanno monitorato l’attività dei tribunali su tutto il territorio italiano. E i tempi dei rinvii sono lunghissimi: tra settembre 2020 e gennaio 2021, nella maggior parte dei casi, anche se ci sono perfino differimenti al 2023 e al 2024. Insomma, una tragedia. «La reazione degli avvocati rispetto a questa stasi incredibile ha contribuito a sfatare un luogo comune, ovvero che i processi non si facessero per la resistenza degli avvocati», evidenzia Cesare Placanica, presidente della Camera penale di Roma. Le iniziative delle Camere e degli ordini sono state le più disparate e nessun avvocato ha mai puntato ai rinvii. Anzi, l’unica richiesta è quella di poter tornare in aula. La stragrande maggioranza dei processi viene rinviata, però, prima ancora di mettervi piede, spiega ed è inutile puntare sul processo da remoto, al di là delle ragioni ideologiche, in quanto fallito principalmente «per motivi tecnici». L’udienza virtuale, «che è l'anti processo, un simulacro», sarebbe ostacolata, principalmente, dall’incapacità tecnica del settore giustizia. «Impossibile dibattere da remoto - aggiunge Placanica -, perché come rilevato dallo stesso tribunale in qualche occasione il meccanismo è troppo farraginoso. Se poi si vuole sostenere la solenne sciocchezza che dipenda dagli avvocati, allora tocca dire che chi lo sostiene è in malafede». Bisogna, dunque, programmare in modo serio le udienze, anche per il futuro, «perché un avvocato che aspetta 4 ore per un’udienza è forza lavoro sprecata, un danno per lo Stato». Basterebbe scaglionare le udienze, con fasce orarie ben precise, magari anche di sabato, accorciando il periodo di sospensione feriale. Ma quello che è «pericoloso» è che si affidi alla valutazione del singolo giudice quali siano i processi rilevanti da trattare, con un’interpretazione soggettiva che «nel campo della giustizia può dare stura ad accuse di arbitrio. I criteri di trattazione devono essere validi per tutti». E se è stato implementato l’aspetto tecnologico per il deposito via pec delle impugnazioni, delle liste testi e per estrarre copia dei fascicoli e delle sentenze, ciò che emerge è «l’aspetto autoritario di questo mondo, che vuole conservare lo status quo». Respinge le accuse anche Antonio De Notaristefani, presidente dell’Unione camere civili. Che rispedisce al mittente ogni congettura sulle responsabilità degli avvocati nel blocco della giustizia. «Chi lo dice è in malafede», afferma. Perché oggi, gli avvocati civilisti non hanno possibilità di «interferire» con le scelte del giudice. «I processi trattati sono per iscritto, per il resto riceviamo una pec con la data di rinvio e non possiamo nemmeno opporci», spiega. Ed è un problema particolarmente delicato, perché proprio in questi giorni «abbiamo appreso che una delle condizioni per i contributi europei è una maggiore efficienza della giustizia civile». La responsabilità, «molto grave», è dunque in mani altrui. De Notaristefani critica il proliferare di protocolli che rischia di ingabbiare la giustizia e dilatarla ulteriormente, immaginando già lo scenario futuro: «staremo anni a parlare delle violazioni dei protocolli, con deroghe al codice di procedura penale e finendo per parlare non di chi ha ragione o torto, ma dell’applicazione dei protocolli». Nel campo civile, la fase emergenziale ha quasi azzerato le udienze, se non per i casi di estrema urgenza. E anche i processi con trattazione scritta «si fanno poco e male», dal momento che i cancellieri non possono lavorare da remoto, pur essendo indispensabili. «Il processo da remoto è uno strumento e come tutti gli strumenti non è né buono né cattivo. Non c’è dubbio che nella fase critica il processo da remoto avrebbe potuto essere utile almeno per una certa tipologia di processi - spiega il presidente dell’Uncc-, però la realtà è che le videoconferenze funzionano poco e male. I tribunali non hanno nemmeno sufficiente banda per affrontare questa situazione. Ed è irrealistico pensare che possa sostituire l’udienza di persona. Va bene per certe tipologie di processi, non per tutti. E in questa scelta il consenso degli avvocati è imprescindibile». L’unica soluzione è tornare in aula, dunque. E De Notaristefani ricorda che il processo cartolare coatto viola, in condizioni di normalità, gli articoli 24 e 111 della Costituzione, nonché l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. «Questo vuol dire che un’eventuale imposizione contro la volontà degli avvocati del processo da remoto porterebbe a sollevare subito una questione di costituzionalità e le Camere civili porterebbero subito lo Stato davanti alla Cedu». Ne sanno qualcosa gli amministrativisti, che invece hanno accolto con gioia la possibilità di poter effettuare le udienze da remoto, vedendosi garantito - anche per una straordinaria collaborazione del Consiglio di Stato - il diritto al contraddittorio. Ma il processo da remoto può essere anche una risorsa, come testimonia Giovanni Guido, avvocato civilista di Napoli. «Sono sempre stato un sostenitore dell’oralità - spiega - però, proprio nella consapevolezza dei vantaggi che offre la discussione orale e la vicinanza con il giudice, rispetto a questa stasi e partendo dal presupposto che la vicinanza, in questo momento, è compromettente, allora non vedo perché una modalità di udienza alternativa, in questo periodo, debba essere visto con sfavore». L’importante è che, però, l’udienza da remoto sia svolta «a certe condizioni», sottolinea. Ovvero con un accordo che ne limiti la validità alla fase emergenziale, protocolli uniformi sul territorio nazionale, clausole di sicurezza per i deficit di connessione e garanzie sui dati acquisiti dalla piattaforma. «Visto che siamo in emergenza - conclude -, allestire una modalità che consenta la trattazione sarebbe una cosa dignitosa per cercare di ridurre al massimo i disagi e gli stop dell’attività giudiziaria».