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Evitare un nuovo blocco dell’attività giudiziaria e, allo stesso tempo, salvaguardare la salute di tutti. È quanto sta cercando di fare il ministro Alfonso Bonafede, che già questa sera potrebbe presentare in Cdm un “pacchetto giustizia”, a partire dalle misure di deposito telematico degli atti per gli avvocati.
Bonafede ha già analizzato - nel corso di diverse riunioni - le questioni sul tavolo e ieri ha incontrato il presidente facente funzioni del Consiglio nazionale forense, Maria Masi, Aiga, Ocf,
Unione delle Camere penali e Unione delle Camere civili, nonché l’Anm per raccogliere le informazioni necessarie e stabilire «d’accordo con tutti» il da farsi.
L’obiettivo è contenere la curva epidemiologica, digitalizzando quanto possibile ed evitando, dunque, i rischi connessi alla presenza fisica negli uffici giudiziari. Così come già in parte avviene in Cassazione, dove ieri è partita la sperimentazione del processo civile telematico.
Il decreto dovrebbe vedere la luce in tempi molto brevi.
Tra le ipotesi attualmente allo studio anche la possibilità di ripristinare il processo penale da remoto, un’ipotesi sulla quale si sta lavorando «ad ampio spettro», mentre come annunciato nei giorni scorsi dal procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, si ragiona anche per l'apertura, «nei limiti del possibile», dei registri penali, il deposito telematico di atti con valore legale, l'ampliamento dell'utilizzo della posta certificata da parte del difensore e la previsione del compimento di atti processuali a distanza.
L’avvocatura, dal canto suo, vuole la semplificazione e l’implementazione delle udienze civili a trattazione scritta, l’obbligo di fissazione di orari scaglionati per le udienze in presenza, l’implementazione del deposito a mezzo pec di atti penali e per i procedimenti davanti al Giudice di Pace, la previsione di deposito di atti presso l’Unep a mezzo pec, con pagamento telematico e la previsione di un legittimo impedimento del difensore causa covid ( anche in caso di avvocato in quarantena o in isolamento fiduciario), per tutti i tipi di procedimenti.
A via Arenula si starebbe anche valutando la possibilità di ripristinare le misure previste dall'articolo 83 del dl 18/ 2020, in particolare per quanto riguarda i poteri di organizzazione degli uffici e delle attività processuali.
Una sorta di “federalismo giudiziario” al quale il presidente dell’Aiga, Antonio De Angelis, si dice fermamente contrario, portando come esempio il caos della fase di chiusura dei tribunali, causato dal «proliferare di protocolli e conseguente notevoli difficoltà e incertezze per gli avvocati».
Per tale motivo, De Angelis chiede a Bonafede regole «chiare e uguali in tutti i Tribunali italiani». Una richiesta avanzata anche dall’Organismo congressuale forense, che chiede maggiore coinvolgimento nel processo decisionale, anche alla luce del fatto che tutti i provvedimenti finora presi nei vari tribunali - così come gli accordi coi sindacati dei dipendenti degli uffici giudiziari sullo smart working - non sono passati dall’ascolto «delle serie e profonde consapevolezze che l’avvocatura Italiana ha in ragione della sua presenza costante e attenta nelle aule di Giustizia».
La richiesta avanzata dal coordinatore Giovanni Malinconico è anche «un uso consapevole, ponderato e integrato delle modalità alternative di svolgimento delle attività di udienza - quali l'udienza da remoto e lo scambio di scritti difensivi in parziale sostituzione dell’udienza in compresenza fisica, nella piena salvaguardia del contraddittorio e delle prerogative della difesa».
Non nasconde i propri timori nemmeno l’Associazione nazionale magistrati, che accusa le istituzioni di rimanere in silenzio.
Le critiche riguardano gli applicativi utilizzati per celebrare le udienze, definiti «inadatti» dalla Giunta esecutiva centrale del sindacato delle toghe, con reti di connessione «inefficaci», mentre la trattazione scritta è consentita solo fino al 31 dicembre, con un procedimento «macchinoso».
Il tutto mentre mancano le dotazioni informatiche per lo smart working del personale giudiziario e si continua a lavorare in aule e spazi «inadatti a ospitare le udienze in presenza».
Insomma, nonostante il lockdown, nulla, secondo l’Anm, sarebbe stato programmato per anticipare la seconda ondata e consentire al servizio giudiziario di non fermarsi. «I magistrati italiani continuano a rendere tale servizio - conclude la nota dell’Anm -, senza timore di esporsi in prima persona pur di dare risposta alla domanda di giustizia.
Non intendono tuttavia essere identificati come responsabili delle carenze diffuse nonché dei rischi cui vengono esposti gli operatori e gli utenti a causa dell’assenza delle Istituzioni cui la Costituzione affida l’organizzazione del sistema giustizia» ..
Intanto aumentano, da nord a sud, i contagi nei tribunali, mentre a Milano è stato avviato lo screening sui magistrati e i dipendenti, dopo i casi di contagio dei giorni scorsi, che hanno spinto il procuratore Francesco Greco a limitare gli accessi al Palazzo di Giustizia.
Il tutto mentre ieri a Roma, poco dopo le 13, il suono di decine di campanelli si è alzato nell’aria del cortile di Piazzale Clodio. A protestare i dipendenti del Tribunale, sia civile che penale, che attraverso un flash mob hanno manifestato contro la mancata convocazione al vertice sulla sicurezza, in corso in quegli stessi minuti.
Il tutto mentre nel Palazzo di Giustizia le misure fondamentali risultano disattese, con mascherine non disponibili, controlli con i termoscanner non presenti in tutti gli ingressi, regole di distanziamento spesso disattese e spazi inadatti.
«Il ministro non ha mai smesso di monitorare e preoccuparsi, ininterrottamente dall’inizio della pandemia», assicura il grillino Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia della Camera. Ma a insorgere contro Bonafede non sono solo le opposizioni, ma anche una parte di maggioranza. Ovvero Italia Viva, che attraverso Ettore Rosato si dice stupita di essere stata tenuta all’oscuro sul “pacchetto giustizia” annunciato da via Arenula.
Per Forza Italia si tratta, invece, di fumo negli occhi. A schierarsi contro il ministro sono due avvocati, il deputato Francesco Paolo Sisto e la senatrice Fiammetta Modena.
«La cronica mancanza di programmazione “Made in Bonafede” sta producendo un altro disastro», sottolinea Sisto, responsabile Giustizia e Affari costituzionali di Forza Italia, che accusa il ministro di non aver «predisposto per tempo un serio piano di prevenzione, nonostante i ripetuti allarmi di questi mesi». Mentre per Modena «lo stato della giustizia in Italia è al collasso».
Avvocati e studi legali bloccati dal virus e dalla burocrazia, denuncia la componente della Commissione Giustizia, che si associa alla protesta dei penalisti italiani e, in particolare, alle richieste avanzate dal presidente dell’Ucpi Giandomenico Caiazza in merito ai depositi telematici.
«Faremo di tutto perché il Governo accetti i suggerimenti che oggi vengono al ministro Bonafede dai vertici delle Camere Penali. In questi mesi - conclude la senatrice Modena - abbiamo continuamente invocato la digitalizzazione dei procedimenti, incremento di personale e una nuova e più efficace cultura della organizzazione. Ma nulla è accaduto e nulla è cambiato. Gli uffici giudiziari, abbandonati a se stessi, rischiano ora la paralisi. Ministro Bonafede batta un colpo»