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Canzio
(...) Tradizione, innovazione, evoluzione sono parole che da sempre accompagnano il fluire della storia del diritto e della giurisprudenza. Ebbene, le dinamiche dei punti di “svolta” sopra delineate rappresentano – come si è detto – decisivi mutamenti o cambiamenti di direzione, ma pur sempre nella veste di forme evolute dell’archetipo. Per un aspetto ritengo, tuttavia, che si sia in presenza di una effettiva “frattura” del paradigma classico di jus dicere: il postmoderno ha reso oltremodo difficile e controverso il rapporto fra la categoria concettuale del tempo e la funzione di giustizia. Questa esige scansioni temporali adeguate al consolidamento e al disciplinamento delle novità, al consapevole posizionamento attorno ad esse dei protagonisti della giurisdizione, come pure all’attenta analisi dei casi e delle questioni, alla scelta meditata della soluzione giusta e alla spiegazione, sintetica ma chiara, delle ragioni della decisione, che l’ansia di deliberare, comunque e in fretta, rischia di condizionare negativamente quanto a prevedibilità, autorevolezza e stabilità. Con riguardo a questo peculiare profilo non sembra di assistere alla mera sperimentazione di una pagina nuova del medesimo archetipo, ma verosimilmente a una radicale “cesura” della tradizionale opera di dire, scrivere, fare il diritto. Risulta, infatti, fin troppo evidente lo scarto di paradigma rispetto al comune agire quotidiano, che appare, viceversa, orientato intorno al “presente continuo” e al “tutto accade ora” (D. Rushkoff, 2014). Che fare per sanare o quantomeno mitigare gli effetti pregiudizievoli della frattura? Per un verso, nel coniugare efficienza, qualità e garanzie, l’essenza e gli ordinati ritmi della giurisdizione vanno salvaguardati. E però, per altro verso, la mentalità dell’uomo postmoderno e il prorompente progresso scientifico e tecnologico che ne rimarca la transizione – si pensi agli attuali e soprattutto ai futuri approdi applicativi dell’IA! – pretendono un serio cambio di passo nella razionalizzazione, trasparenza e comprensibilità del linguaggio e della comunicazione degli atti e dei provvedimenti giudiziari. In termini (come avverte Italo Calvino, 1993) di effettiva riduzione di peso della loro struttura verbale, di rapida messa a fuoco delle questioni agitate, di essenzialità ed esattezza quasi geometrica degli argomenti a sostegno della soluzione decisoria. È evidente che tutto ciò debba comportare una ormai indifferibile e radicale opera di rinnovamento metodologico della formazione professionale di coloro che sono destinati ad esercitare il “mestiere” di attore nel processo – magistrati, avvocati, personale di cancelleria –, cioè di quanti sono impegnati a “dire il diritto nel XXI secolo”.