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«Mi spiace solo che mia moglie quando sono stato assolto non c’era più», afferma Giovanni Novi, ex presidente dell’Autorità portuale di Genova, fondatore di una della società di brokeraggio più importanti del Paese, cavaliere del lavoro. La vicenda giudiziaria di Novi è stata racconta dal giornalista del Foglio Ermes Antonucci nel suo ultimo libro “I dannati della gogna”, edito da Liberi libri, dal mese scorso nelle librerie. La mattina del 4 febbraio 2008 Novi sta trascorrendo il suo penultimo giorno da presidente dell’Autorità portuale di Genova, carica che ricopre da quattro anni con piena soddisfazione del ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi per le iniziative portate a termine. Mentre è a casa a fare colazione con sua moglie e con una coppia di amici milanesi, improvvisamente squilla il telefono. «È un tenente della guardia di finanza, un mio amico: mi dice che deve notificarmi un documento. Gli do appuntamento in ufficio, ma mi risponde che sarebbe stato dalle mie parti e avrebbe portato lui il documento. Passa un’ora, però, e lui non arriva. Lo chiamo anche al telefono tre volte», racconta Novi. «Ho saputo solo dopo - prosegue - cosa stesse succedendo: sono stati un’ora davanti casa mia e poi sono arrivati i giornalisti e i fotografi a riprendermi mentre i finanzieri mi notificava gli arresti domiciliari». «I pm volevano che ci fossero i fotografi», precisa Novi. La Procura del capoluogo ligure avanza contro di lui una serie infinita di accuse; alla fine saranno tredici i capi di imputazione, che vanno dalla concussione alla turbativa d’asta, dalla truffa all’abuso d’ufficio, per presunte irregolarità nella concessione dei moli del porto ai terminalisti. In particolare, Novi viene accusato di essere il garante di un patto stipulato da un gruppo di terminalisti, camalli, famiglie di armatori e la stessa Autorità portuale per la spartizione del terminal “Multipurpose”, uno dei pezzi pregiati dello scalo genovese. Il processo di primo grado durerà oltre sei anni, al termine del quale Novi verrà assolto per dodici imputazioni su tredici e condannato solo per turbativa d’asta a due mesi di carcere (i pm avevano chiesto la condanna a sei anni). Due anni dopo, in appello, il reato finirà in prescrizione, ma Novi verrà comunque condannato al risarcimento dei danni a favore dell’Autorità portuale. Nonostante la prescrizione, l’ex presidente e gli altri imputati decidono di fare ricorso in Cassazione. L’epilogo giunge il 13 marzo 2014, quando la Suprema corte confermerà l’assoluzione per Novi, per tutti i tredici capi di imputazione, e per gli altri imputati. Nella sentenza i giudici sottolineando che Novi non solo non commise alcun reato ma agì per il bene del porto, lo assolverà perché “il fatto non sussiste”. Nel frattempo, però, le accuse avevano macchiato per anni la sua figura. La prima a pagare le conseguenze del blitz dell’arresto mediatico, come detto, era stata sua moglie, Nucci Ceppellini, ex assessore al Turismo della regione: dopo la visita dei finanzieri e dei cronisti, in serata crollerà. Viene ricoverata in ospedale dove il marito non può andare in quanto posto agli arresti domiciliari. Quando Novi ottiene il permesso ha solo il tempo di salutarla essendo entrata in coma. Il giorno successivo Nucci muore, a undici giorni di distanza dall’arresto sotto i riflettori del marito. «Ad ammazzare mia moglie è stato il tumore certo, ma, come mi hanno spiegato i medici, in casi di forte choc vengono a mancare le difese immunitarie», spiega Novi. «I pm hanno un potere in mano enorme. Per cinque-sei anni possono tenere le cause in piedi. Praticamente nessuno dice niente se loro sbagliano», sottolinea l'ex presidente dell'Autorità portuale.