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Avvocato, lei viene indicato come il capofila di una linea interpretativa secondo la quale a Roma non esistono associazioni di stampo mafioso - confermata dalla Corte d’Appello nella sentenza contro il boss di Ostia Carmine Fasciani nel 2016 - e che questo alimenti la sottovalutazione del problema. Come risponde?
Non posso che compiacermi del fatto che qualcuno mi riconosca tutto questo potere e questa capacità di condizionare le decisioni delle autorità giudiziarie. Magari fosse così! Ma sono perfettamente consapevole che non lo sia.
Come valuta i fatti di cronaca avvenuti al bar di Anagnina, per i quali sono stati arrestati membri delle famiglie Di Silvio e Casamonica?
Si tratta di una vicenda deteriore di criminalità comune. E sottolineo, comune. A margine di un fatto che rimane grave, però, vorrei notare come sia singolare che episodi risalenti al giorno di Pasqua e dunque a più di quaranta giorni fa acquisiscano risalto solo ora: mi chiedo come mai siano stati resi noti alla stampa e chi l’abbia informata, visto che al momento dei fatti è stata valutata come una becera manifestazione di arroganza e violenza e non come l’ennesima espressione di un clima mafioso.
E come rileva questo fatto?
Guardi, come diceva Andreotti, “A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca”. La mia impressione è che potrebbe essere cominciata una campagna mediatica in vista dell’avvicinarsi della sentenza di appello di Mafia capitale. Il fatto che la mafia e l’aggravante mafiosa vengano reiteratamente contestate quando un balordo aggredisce un giornalista con una testata o quando due in preda ai fumi dell’alcol e forse della droga aggrediscono due persone in un bar, mi sembra finalizzato a creare un particolare clima. Glielo ripeto, è una mia illazione e non ho alcuna prova, ma rimane il fatto che si sta ricominciando a parlare della sottovalutazione del fenomeno mafioso proprio mentre si sta avvicinando la definizione del secondo grado di quel processo.
Però si tratta di fatti obiettivi e non di opinioni: le aggressioni sono avvenute.
Certo e addirittura possiamo vedere cosa è successo grazie alle telecamere di sorveglianza. Proprio per questo mi fortifico nella mia definizione di “quattro cazzari” e non di mafiosi per questi soggetti: con obiettività, le sembrano comportamenti da mafiosi quelli di questi due imbecilli che sfasciano un bar e picchiano le persone? Si tratta di atteggiamenti arroganti e con ascendenza criminale di soggetti dediti alla prevaricazione. Soggetti che, a furia di sentirsi chiamare mafiosi, si sono convinti di esserlo a causa della loro stessa ignoranza e così ne assumono gli atteggiamenti. Gli episodi recenti mi confermano questo giudizio.
E quindi non si tratta di pericolosi mafiosi?
Attenzione a comprendere questa mia affermazione. Si tratta di personaggi dediti alla delinquenza con modalità che non si differenziano da quelle della criminalità ordinaria, ma ordinaria non vuol dire buona: la criminalità è sempre un fattore negativo da reprimere con durezza, ma anche con equilibrio. I Casamonica e i loro accoliti, invece, stanno ottenendo un rilievo maggiore a causa dell’attenzione mediatica che ricevono e che genera un clima controproducente, in cui si immagina che nel Lazio si viva in una situazione riconducibile a quella delle realtà mafiose: una mistificazione che genera disinformazione collettiva, a cui purtroppo la gente crede.
Non pensa che il fenomeno di questo tipo di delinquenza, che venga qualificata o meno come mafiosa, sia stato sottovalutato?
No, credo si tratti di un’affermazione totalmente infondata. Se non si vive la vita quotidiana del tribunale di Roma e non si verifica il numero delle proposte di sorveglianza speciale e soprattutto di sequestri e confisca di patrimoni a carico di questi personaggi, è impossibile esprimere giudizi che abbiano il carattere dell’obiettività e della rispondenza al vero.
Questi reati vengono perseguiti in modo pervasivo, secondo lei?
Può anche non credermi, ma le assicuro che la gran parte dei componenti delle famiglie Casamonica, Spada, Di Silvio e Fasciani sono da qualche anno e anche attualmente soggetti a misure di prevenzione personale come la libertà vigilata, ma soprattutto sono destinatari di provvedimenti di confisca di patrimonio, in certi casi anche con un approccio quasi iconoclasta. Sono stati loro confiscati, infatti, anche immobili costruiti dai loro ascendenti negli anni Sessanta e Settanta, che certamente non possono essere proventi di profitto frutto di attività illecite attuali o comunque recenti.
Lei quindi rimane convinto che il disegno della Procura di Roma che è stato architrave di Mafia capitale non regga?
Io credo che nel nostro distretto di corte d’Appello ci siano ancora sacche di resistenza garantista e che queste campagne di stampa eterodirette servano a colpire la magistratura giudicante che non aderisce a una certa cultura della giurisdizione propria della Procura. Ripeto, è una mia ipotesi, ma la sensazione è che sia in atto una pressione nei confronti dei giudici d’Appello, come se li si volesse mettere con le spalle al muro davanti a un determinato fenomeno. Non mi stanco di ripeterlo: quando tutto è mafia, purtroppo niente è mafia. E la mafia, quella vera, è una cosa completamente diversa.