PHOTO
«È necessario che i magistrati capiscano che fare il dirigente significa essenzialmente assumersi delle responsabilità», dichiara Bruno Giangiacomo, presidente del Tribunale di Vasto e candidato per i giudici di merito per Area, il cartello delle toghe progressiste, alle prossime elezioni per il rinnovo del Consiglio superiore della magistratura. Presidente Giangiacomo, ha fatto molto discutere nei giorni scorsi la vicenda dei due magistrati che si sono recati a Palazzo dei Marescialli, accompagnati e spesati da un curatore fallimentare, per caldeggiare con un consigliere laico del Csm la nomina di uno di loro a presidente del Tribunale di Cremona. Qual è il suo giudizio al riguardo? Conosco l’episodio solo dalla lettura dei giornali. Non ho elementi per stabilire se quanto raccontato sia vero o meno. Spero sia stato travisato. Certo, se fosse vero sarebbe una caduta deontologica da parte dei colleghi con possibile rilievo sotto il profilo disciplinare. Mi auguro non penale. Ciclicamente le cronache riportano di questi “viaggi della speranza” che verrebbero fatti al Csm dai magistrati per sponsorizzare le proprie candidature ad un incarico. Cosa ne pensa? Bisogna educare i magistrati a non fare queste cose. C’è bisogno di un salto culturale. Fare il dirigente non deve essere sinonimo di carrierismo. Molti colleghi che ho incontrato durante questa campagna elettorale mi hanno detto che mai vorrebbero avere un incarico direttivo. In primo luogo perché a fronte delle maggiori responsabilità non c’è nessun incentivo economico e poi perché c’è un’assunzione di responsabilità per il lavoro altrui con tutte le incombenze specifiche che questo comporta. Però c’è anche la legittima soddisfazione che non deve essere per forza monetizzata… Certo. Può far piacere farsi chiamare presidente o procuratore. Però deve essere chiaro che esistono oneri e onori. Il magistrato prende lo stesso stipendio se condanna o se assolve e se fa il capo dell’ufficio o meno. Nel frattempo, però, cosa si potrebbe fare per arginare questi comportamenti? Urge implementare la trasparenza. Bisogna pubblicare tutto, rispettando ovviamente quanto previsto dalla privacy, sul sito del Csm. Ciò disinnescherebbe molte delle tensioni sulle nomine. Se tutto è trasparente i colleghi non si lascerebbero andare alle polemiche sulle mailing list. I soldi per l’informatizzazione ci sono. E prevedere che i consiglieri del Csm annotino i magistrati che hanno incontrato e per quale motivo? Si potrebbe adottare una norma etica all’interno del regolamento del Csm in cui si vieta al consigliere di avere contatti con gli aspiranti ad un incarico direttivo. Ma non è semplice. I nomi degli aspiranti li possono sapere i componenti della Commissione per gli incarichi direttivi, non gli altri. E comunque non sarebbe risolutivo. Molti di questi incontri avvengono durante cene… Non è che il consigliere possa vivere con un atteggiamento monastico. Io quando vado ad una cena mi informo sempre su chi c’è. Certo che se c’è un mio imputato non vado. Ma il piano della giurisdizione è diverso da quello dell’amministrazione. Quest’ultimo è meno rigido rispetto agli obblighi che incombono ad un magistrato nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali. Procedere invece con le audizioni di tutti i candidati? Fare le audizioni per tutti diventerebbe difficile. Già le procedure per nominare i capi sono lunghe. Cosi diventerebbero di una lentezza esasperante, ma un uso maggiore ed al tempo stesso oculato delle audizioni potrebbe aiutare. Una minore discrezionalità del Csm? Sicuramente Il legislatore quando ha tolto il parametro dell’anzianità nell’affidamento degli incarichi direttivi ha aumentato la discrezionalità del Csm nella scelta e, conseguentemente, le aspirazioni dei magistrati. Una sana ambizione è normale ma non deve travalicare il giusto limite. Alla fine, dunque, si torna sempre alla necessità del cambio culturale? Sì. Ad un senso di responsabilità ed equilibrio da parte dei magistrati. C’è bisogno di una richiamo all’etica individuale forte. “Per la vita non si possono perdere le ragioni del vivere” dicevano i latini. Il senso del limite deve essere ben presente. “Le buone leggi fanno buoni gli uomini, ma per fare buone leggi occorrono buoni uomini”, diceva Macchiavelli.