«Siamo ancora sotto choc come lo è Giacomo: ci hanno comunicato che mio fratello è stato condannato all’ergastolo, con 25 anni da scontare in Egitto». Sono le parole di Andrea Passeri, fratello di Giacomo, il ragazzo trentunenne di Pescara, residente a Londra, condannato all'ergastolo, commutato in venticinque anni di reclusione, da un tribunale egiziano del Cairo. Il ragazzo è stato arrestato un anno fa per possesso di pochi grammi di marjuana, dichiarata per uso personale, mentre si trovava in vacanza.

Secondo le autorità del Cairo invece il quantitativo di stupefacenti era ben superiore affermando che erano stati riscontrati una serie di ovuli ingeriti anch'essi pieni di sostanze psicotrope, per cui l'accusa è stata quella di traffico internazionale di droga.

Da allora i familiari hanno cercato più volte di portare all'attenzione delle autorità italiane e dell'opinione pubblica la sua vicenda. Un'impresa difficile vista la gestione autoritaria dell'informazione in Egitto e di una giustizia che sembra rispondere piu a un volere politico che ai canoni del diritto.

Durante la lettura della sentenza lunedì scorso, come hanno fatto sapere sempre i fratelli, il ragazzo non era presente in aula. A quanto si apprende dovrebbe trovarsi nel carcere di Badr, nella capitale egiziana. Ora le speranze di una mitigazione della pena e soprattutto delle condizioni di detenzione sono affidate all'appello già annunciato dall'avvocato Said Shabaan il quale tentera tutte le strade per ottenere il trasferimento in Italia di Giacomo.

Dopo la condanna la preoccupazione sta crescendo, il ricordo della vicenda di Giulio Regeni e quella di Patrick Zaki sono ancora ben presenti. I maltrattamenti e la durezza della reclusione in Egitto è nota e sembra non aver risparmiato neanche Giacomo Passeri. I suoi fratelli infatti hanno perso i contatti diretti con lui già dall'agosto dello scorso anno. Unica eccezione una telefonata con la quale il ragazzo era riuscito a comunicare di essere stato arrestato.

Le notizie che era riuscito a fornire fortunosamente attraverso alcune lettere raccontavano però anche di percosse e di un operazione, per rimuovere un appendicite, seguita da cure molto scarse. Diversi dubbi sono emersi anche circa la procedura processuale, la famiglia infatti è venuta a conoscenza delle accuse solo tramite pochissimi documenti, tra l'altro scritti in arabo e non tradotti dalla polizia egiziana. Inoltre prima di arrivare alla sentenza finale le udienze sono state rimandate più volte (un particolare che ricorda il caso Zaki) in quanto i testimoni dell'accusa si sarebbero rifiutati di presentarsi davanti ai giudici. Una situazione che aveva portato lo stesso Giacomo Passeri a iniziare uno sciopero della fame in segno di protesta.

La vicenda adesso sta interessando anche il ministero degli Esteri che ha fatto sapere di seguire il caso «con la massima attenzione». Inoltre a luglio era stata anche presentata un’interrogazione parlamentare da Marco Grimaldi, vice capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera insieme al suo compagno di partito Daniele Licheri, segretario regionale Sinistra Italiana Abruzzo.

I due chiedevano un immediato intervento da parte del governo e dell'ambasciata italiana in Egitto in quanto il caso Passeri rappresenta una vicenda dai diritti umani negati. Grimaldi aveva non a caso ricordato la tragica fine di Regeni: «Abbiamo visto la vicenda Regeni, la vicenda Zaki, non ci fidavamo di chi diceva che in Egitto andava tutto bene. È stato detenuto senza traduttori, sottoposto a un interrogatorio senza avvocati. Non c’è bisogno di sapere di che cosa Luigi Giacomo Passeri sia stato accusato».