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«Vogliamo anche noi un garante della polizia penitenziaria!», aveva detto provocatoriamente Donato Capece, il segretario generale del Sappe. Una provocazione la sua, anche perché sa benissimo che sarebbe un autogol pretendere seriamente una figura del genere, mentre fortunatamente esistono i sindacati che sono nati, appunto, per difendere i diritti dei lavoratori. D’altronde i sindacati della polizia penitenziaria hanno il loro rappresentanti in carcere che possono osservare eventuali violazioni nei loro confronti e denunciare. Com’è giusto che sia si incontrano in un tavolo sindacale con i dirigenti del Dap e sono voci prese in considerazioni dal ministro della Giustizia. Non solo. Molto spesso sono proprio i sindacati a denunciare le situazioni di degrado che riguardano i detenuti, perché sono i primi a sapere che il benessere deve riguardare tutta la popolazione penitenziaria, proprio per elevare la qualità del loro lavoro.
Eppure c’è chi ha preso sul serio la provocazione di Capece. Il deputato di Fratelli D’Italia Andrea Delmastro Delle Vedove ha presentato una proposta di legge per istituire il Garante nazionale dei diritti del personale del Corpo della polizia penitenziaria. «Mentre i detenuti godono di un sistema multilivello di Garanti dei loro diritti – è scritto nella proposta di legge -, gli agenti di Polizia penitenziaria sono abbandonati a sé stessi e sono spesso oggetto di malversazioni e azioni giudiziarie. Tutto questo non è più accettabile, soprattutto davanti alla furia cieca di chi vuole abbattere lo stato di diritto».
La proposta di legge si divide in tre capi. Il Primo è dedicato alle misure di riorganizzazione del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia. «Con gli articoli da 1 a 3 si intende porre rimedio - si legge nella proposta a un atteggiamento schizofrenico dell’amministrazione, nella misura in cui allo stesso vertice amministrativo afferiscono sia i trattamenti rivolti ai detenuti che le operazioni di polizia penitenziaria». Obiettivo della legge è scindere il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di due dipartimenti distinti: uno dedicato al trattamento dei detenuti e l’altro dedicato al Corpo della polizia penitenziaria, per i quali si forniscono le principali attribuzioni amministrative.
Ma è il secondo capo è il clou della proposta di legge. Ovvero quello dedicato all’istituzione del Garante nazionale dei diritti del personale del Corpo della polizia penitenziaria. L’articolo istituisce il Garante e ne disciplina le attribuzioni. In sostanza è l’esatta fotocopia del Garante nazionale delle persone private della libertà. Oltre ad essere composto da un presidente e due membri, può visitare – si legge – “senza necessità di autorizzazione, gli istituti penitenziari, gli ospedali psichiatrici giudiziari ( che però non esistono fortunatamente più da qualche anni ndr) e ogni altra sede dove opera il personale del Corpo della Polizia Penitenziaria nonché, previo avviso e senza che da ciò possa derivare danno per le attività investigative in corso, le camere di sicurezza delle Forze di polizia, accedendo, senza restrizioni, a qualunque locale adibito o comunque funzionale alle esigenze restrittive”.
Ora però bisognerà pur ricordare che la figura del Garante nazionale riguarda un obbligo derivante dalla ratifica del protocollo opzionale delle Nazioni Unite per la prevenzione della tortura. L’adesione a tale protocollo prevede che lo Stato debba predisporre un meccanismo nazionale indipendente ( Npm) per monitorare, con visite e accesso a documenti, i luoghi di privazione della libertà al fine di prevenire qualsiasi situazione di possibile trattamento contrario alla dignità delle persone. Per quanto riguarda la dignità del lavoratore - e quindi anche degli agenti penitenziari -, dopo lunghissime battaglie nel 1970 lo Stato italiano – grazie allo Statuto dei lavoratori – riconosce formalmente le rappresentanze sindacali aziendali. Ma questa è, appunto, tutta un’altra storia che non ha nulla a che vedere con il Garante nazionale, l’organismo statale indipendente che è in grado di monitorare, visitandoli, i luoghi di privazione della libertà che non riguardano solamente il carcere.