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«La revoca della assegnazione al gip Banci Buonamici rappresenta un grave vulnus all’organizzazione dell’ufficio idonea ad incidere sull’andamento del processo, dal momento che erano stati già adottati provvedimenti sulla libertà personale». È netta la posizione sostenuta in plenum dai togati del Csm Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo, che hanno bocciato lo “scippo” del fascicolo della tragedia della funivia del Mottarone ai danni della gip Donatella Banci Buonamici, sancito dal presidente del Tribunale Luigi Montefusco lo scorso 7 giugno. Una scelta, quella del presidente, pericolosa secondo i due togati, che hanno messo l’accento sulla tempistica di tale provvedimento, arrivato proprio dopo la scarcerazione dei tre indagati «e dopo che la stampa esercitava enormi pressioni esterne; ed è intervenuta quando era già pronto il provvedimento che decideva sulla richiesta di incidente probatorio che non poté essere depositato». Per i due consiglieri, che hanno preso la parola durante un lungo dibattito concluso con l’approvazione del parere della settima Commissione, che di fatto ha bocciato tutta la gestione delle tabelle del tribunale, sarebbero dunque «deboli» le argomentazioni addotte da Montefusco, opposte a quelle invece definite «molto convincenti» di Banci Buonamici, «che risulta avere operato con correttezza e senso di responsabilità e a lei dovrebbe andare il sostegno dell’organo di autogoverno». Al centro della discussione la decisione di porre sullo stesso piano i tre decreti che hanno scandito la vicenda, ovvero l’esonero della gip Elisa Ceriotti, titolare per tabella del procedimento, sin da febbraio scorso, l’autoassegnazione del fascicolo da parte di Banci Buonamici il 27 maggio, visti gli impegno concomitanti della collega Annalisa Palomba, e quello di revoca da parte di Montefusco. Per Ardita e Di Matteo, «è un errore grave mettere sullo stesso piano tutti i provvedimenti, e il Csm dovrebbe oggi concentrarsi sulla illegittimità della revoca dell’assegnazione al giudice competente e sulle sue conseguenze: questa vicenda ha un’enorme rilevanza, perché la difesa della autonomia del giudice contro qualsiasi possibile interferenza esterna rappresenta il compito prioritario dell’autogoverno. In questo quadro la decisione di sollevare il giudice dalla competenza, benché formalmente non risulti rivolta a quello scopo, rischia di trasformarsi in una lesione alla indipendenza del giudice e alla sua immagine». Insomma, una difesa a spada tratta dell’autonomia del giudice da parte di due pubblici ministeri, secondo cui tale prerogativa «è un bene prioritario e irrinunciabile in una democrazia». Il documento, al termine della discussione, è stato approvato con 24 voti a favore e un astenuto, il laico di Forza Italia Alessio Lanzi, che aveva tentato - salvo poi ritirare la proposta - di riportare la delibera in Commissione per stralciare la parte riguardante il decreto di «riassegnazione a sé medesima» firmato da Banci Buonamici con il placet dello stesso Montefusco, chiedendo, successivamente, di votare separatamente i tre provvedimenti in esame. «Il nostro obiettivo è di rendere un buon servizio alla giustizia - ha evidenziato Lanzi - e in questo caso, con il comportamento della dottoressa Banci, è stato reso un ottimo servizio alla giustizia, una giustizia pronta, che ha riequilibrato una situazione difforme dalle regole della legge e che può ridare fiducia alla comunità per quanto concerne l'amministrazione della giustizia penale». Secondo Lanzi, dunque, Montefusco avrebbe sottratto il fascicolo a Banci Buonamici «quando lo ha visto eccessivamente al centro dell'attenzione». Giuseppe Cascini, togato di Area, ha contestato le motivazioni dei colleghi, affermando che «valutare le decisioni in materia tabellare sulla base del merito delle decisioni adottate dai giudici - ha sottolineato - è esattamente il contrario di quello che noi dobbiamo fare. Le regole tabellari non sono diritti disponibili, non c'è accordo fra le parti per derogare alle regole. Se leggiamo la motivazione di questa delibera c'è scritto esattamente quali erano le regole tabellari, a quale giudice doveva andare il fascicolo e, in caso di emergenza, c'erano le regole sulle sostituzioni. È un principio costituzionale, si chiama predeterminazione del giudice. Il giudice non si sceglie». Un discorso non condiviso dalla togata di Magistratura Indipendente Loredana Miccichè, che ha evidenziato «le piccole dimensioni» del tribunale di Verbania. «Le regole tabellari non sono dei totem - ha chiarito - perché è sempre possibile, con delle motivazioni specifiche, derogare a questi criteri». E nel provvedimento di autoassegnazione, secondo Miccichè, «la motivazione c'è, perché la dottoressa Banci ci dice che la dottoressa Palomba era indisponibile perché impegnata in udienza». Miccichè ha anche evidenziato come i provvedimenti di variazione tabellare stabiliti a febbraio per gestire la situazione di sofferenza dell’ufficio gip/gup non siano stati trasmessi al Consiglio giudiziario, onere, questo, che sarebbe spettato al presidente Montefusco e non a Banci Buonamici e la cui mancata ottemperanza, di fatto, ha reso quel provvedimento nullo. Nel suo intervento Ardita ha evidenziato come la risonanza mediatica dell’evento avesse posto la giustizia «sotto la lente di ingrandimento», evidenziando la differenza tra il provvedimento di Montefusco e i due iniziali, adottati «prima che le parti del processo fossero investite da decisioni giudiziarie. C'è un abisso tra la valutazione dei primi due provvedimenti e il terzo, che incide nettamente sul procedimento, perché già c’è stata una valutazione il gip». Non si può cambiare l’arbitro a partita in corso, ha dunque evidenziato con una metafora calcistica. E anche qualora l’autoassegnazione fosse stata irregolare, «non è la stessa cosa togliere un procedimento» a chi già se ne sta occupando. «Il valore del giudice, la sua indipendenza, è un principio irrinunciabile», ha concluso. Intervento, dunque, condiviso da Di Matteo, secondo cui la scelta di sottrarre il fascicolo alla gip «ha un'enorme rilevanza per il nostro ordinamento e deve richiamare il Csm all'adempimento di un suo compito indefettibile, la difesa del singolo giudice contro qualsiasi possibile, anche apparente, pressione esterna. La decisione di sollevare il giudice dalla competenza, al di là delle intenzioni di chi l'ha presa, rischia di essere letta come una lesione al principio di autonomia del giudice contro qualsiasi possibile interferenza esterna». Toccherà ora al presidente del Tribunale adottare le conseguenti determinazioni in modo conforme al contenuto della delibera, «per escludere il profilarsi di ulteriori potenziali incompatibilità nella successiva fase dibattimentale». A commentare il dibattito che ha tenuto banco durante il plenum anche il direttivo della Camera penale del Piemonte Occidentale e Valle d’Aosta, secondo cui, «in attesa delle ulteriori valutazioni di competenza di altre sedi consiliari e autorità, è auspicabile l’ostensione di tutti gli atti esaminati nel corso di tale procedura per conoscere nella massima trasparenza il grado di conformità delle condotte alle funzioni istituzionali svolte dei vari soggetti coinvolti nella presente vicenda. Una vicenda - prosegue la nota - nella quale un magistrato ha difeso con tenacia la propria indipendenza; quell’indipendenza che dovrebbe essere tutelata e garantita dall’ordinamento giudiziario e non esclusivamente affidata al coraggio di un giudice che si è esposto in prima persona pur di difendere la sua libertà di giudizio».