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«Sono molto preoccupato». Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale, scandisce le parole, le pesa ma non per questo le attenua. «Riguardo all’estensione delle misure patrimoniali previste per la criminalità organizzata ad altri reati, e in particolare a quelli di corruzione, sono molto preoccupato per una ragione di metodo: in particolare perché vedo l’utilizzo sistematico dell’emergenza come strumento ordinario di risposta al crimine». Il professor Flick, che è stato anche ministro della Giustizia, sa bene di far precipitare la propria valutazione in un giorno particolare.
Quello in cui il Senato si appresta ad approvare in seconda lettura il Codice antimafia con i sequestri preventivi ai corrotti, ovvero il cosiddetto doppio binario trapiantato nel campo dei reati contro la pubblica amministrazione. A Flick non interessa «sollevare polemiche», anche se il tema è fin troppo divisivo e delicato per pensare che se ne possa fare a meno.
Perché un presidente della Corte costituzionale arriva a dirsi preoccupato per le nuove norme?
Mi perdoni, ma la domanda è mal posta. Io non entro nella valutazione di specifici aspetti di una decisione del Parlamento. Ci penseranno eventualmente la Corte costituzionale o la Corte europea dei Diritti dell’uomo. Mi dico preoccupato per una tendenza che riguarda la legislazione nell’intero campo del diritto penale.
Da quale punto di vista?
Riguardo all’estensione ad altri campi di norme e misure eccezionali, in modo da normalizzarne l’utilizzo. È una strategia che non può funzionare, come contrasto sistematico delle attività illecite. Ciò che è pensato per essere eccezionale dovrebbe rimanere tale. Non mi riferisco solo a misure come i sequestri. Il paradigma è stato offerto dall’ordinamento penitenziario: penso all’applicazione sempre più ampia del 41 bis e dell’articolo 4 bis, ossia la norma che prevede l’esclusione degli autori di determinati reati dalle misure alternative e dunque da un modello trattamentale fedele al dettato dell’articolo 27 della Costituzione. Tale esclusione inizialmente riguardava solo la criminalità di stampo mafioso, poi è stata estesa a un ventaglio di reati disomogeneo e disorganico che avevano un comune denominatore: suscitare un forte allarme sociale.
Si pensa di dover placare un’ansia diffusa e si ricorre per tutti i tipi di reato alla stessa soluzione.
Sì, c’è la forte spinta a percorrere la strada dell’emergenza come risposta che in apparenza dovrebbe tranquillizzare, assicurare una risposta securitaria. Ma si tratta di contromisure dall’efficacia più apparente che reale.
Cosa pensa del contesto associativo come condizione necessaria per applicare i sequestri a reati come il peculato?
Guardi, il tentativo di limitare l’applicazione di determinate norme può essere lodevole, come appunto in questo caso, ma è sbagliato il sistema. Mi chiedo: il concorso nel commettere un reato può davvero giustificare l’introduzione di questi strumenti patrimoniali?
Cantone teme che allargare il ricorso ai sequestri preventivi possa indurre la Corte di Strasburgo a dichiarare non conformi alla Convenzione dei Diritti umani gli stessi sequestri agli indiziati di mafia.
Siamo riusciti a mettere in confusione persino la Corte europea. Neppure a Strasburgo riescono più a comprendere se si tratta di sanzione o di prevenzione, se vogliamo rispondere alla pericolosità del reato, o della persona che lo commette, o del bene come profitto di reato che ha un’autonoma pericolosità e che va quindi confiscato anche agli eredi. Sono confuse le categorie in cui iscrivere il sequestro e la confisca. E prima o poi potrebbe arrivare da Strasburgo una pronuncia che metta in discussione lo strumento in sé. Finora la stessa Corte si è trovata di fronte a una specificità italiana qual è la necessità di contrastare la criminalità mafiosa, che giustifica interventi di carattere emergenziale. Ebbene, non so se la normalizzazione di questi interventi possa essere accettata.
Sulle norme di cui si discute in questi giorni potrebbero arrivare pronunce sfavorevoli dalla Corte costituzionale?
No, mi stia a sentire: non si possono fare pronostici, la Corte europea e la Corte costituzionale eventualmente valuteranno. Si tratta non di misure cautelari personali ma patrimoniali: ebbene, va determinato quali limiti le misure repressive possano imporre al principio della proprietà privata.
Non un dilemma da poco.
In singoli episodi il sequestro preventivo può essere legittimo, ma è il quadro che emerge ad essere preoccupante. Soprattutto perché il legislatore ha scelto di normalizzare l’emergenza, ripeto, e certi automatismi producono delle assurdità.
Il quadro normativo attuale regola già i sequestri in base a indizi di corruzione?
Posso dire che la legislazione attuale prevede un campo d’applicazione fin troppo ampio per misure come sequestri e confische. Vorrei anche ricordare che il principio di tali misure discende dalla circostanza che una certa ricchezza sia frutto di reato. Un fatto che suscita allarme perché si tratta di un inquinamento economico. Ma se il ricorso a tali misure viene agganciato soltanto al tipo di reato commesso e non al comportamento del soggetto che ne è autore o alla natura del profitto, si capisce bene come le conseguenze che ne possono discendere siano completamente diverse: sino ad arrivare al diritto penale di autore o del nemico. Comunque a una forma indeterminata di ablazione. Mi pare lo stesso processo di estensione impropria avvenuto appunto con la norma dell’articolo 4 bis nell’ordinamento penitenziario.
Perché colpire un arricchimento frutto di attività illecita non è sempre e comunque appropriato, visto che si tratta in ogni caso di un inquinamento?
Un conto è andare a Strasburgo e dire ‘ ricorriamo a determinate misure per contrastare un fenomeno del tutto extra ordinem come la mafia’, ben altro è trasformare un sequestro preventivo in strumento generale a cui ricorrere sempre. D’altronde non credo di essere il solo a ritenere inadeguate le attuali forme di contrasto della corruzione.
A cosa si riferisce?
A quanto hanno detto il presidente e il procuratore generale presso la Corte dei Conti in sede di presentazione del rendiconto generale dello Stato la settimana scorsa. Il primo ha parlato di un sistema devastante di corruzione. Il procuratore generale ha descritto un sistema di contrasto basato su una pluralità di controlli, affidati a soggetti diversi, dalla stessa Corte alle autorità indipendenti, articolato come una serie di sottosistemi che, insieme, non formano alcunché di unitario. Fino a generare costi complessivi a cui non corrisponde adeguata utilità. Alla luce di questo, non so quanto la repressione attraverso l’asporto del denaro sia davvero strumento sufficiente per bloccare la corruzione. Al di là del suo valore di proclamazione- manifesto.
Mafia e corruzione sono oggi due volti dello stesso fenomeno?
Sono due fenomeni che possono sovrapporsi. Ma restano distinti: della prima è caratteristica la violenza, della seconda l’accordo. E per questo pensare di usare contro la corruzione gli stessi strumenti adottati contro le mafie non mi sembra la strada giusta. Quando i due fenomeni si sovrappongono, si dovrebbe ricorrere sia agli strumenti di contrasto propri dell’uno che a quelli concepiti per l’altro.