PHOTO
Ride. Non riesce a trattenersi. «Sa, io da un po’ sono stato accolto nell’Accademia dei Lincei. Forse sbagliano. L’Accademia è per gente che studia, pondera e riflette bene prima di esprimersi. Io sono uno che mena le mani». E invece qui il professor Tullio Padovani, maestro del diritto penale, avvocato e studioso che continua a formare schiere di giuristi alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, ride proprio perché ha capito benissimo. Ha colto la gigantesca irrazionalità dell’ultima “riforma” sulla prescrizione. «La fanno per usarla come slogan. Avrà i suoi effetti non prima di 4 o 5 anni, perché la prescrizione è principio di diritto sostanziale e le novità non potrebbero applicarsi a un reato commesso prima della loro entrata in vigore. Poi la modifica sarà dichiarata incostituzionale, mi pare evidente. Ma intanto si fa baccano. E si allungano i processi in corso».
Perché, professore?
Semplice: ci sarà un’ubriacatura generale. Intanto il magistrato saprà che gli basta chiudere il primo grado un minuto prima che scatti la prescrizione. Poi le fasi successive del processo potranno durare anche in eterno. Hanno inventato la categoria del processo eterno. Non posso trattenere il riso perché in questo emendamento c’è anche un aspetto comico. Ma poi certo, ci si rende conto di quanto siano difficili e pericolosi i tempi in cui ci tocca di vivere.
Partiamo dall’aspetto comico.
Nell’emendamento è scritto che la prescrizione è sospesa. Fino a quando? Scrivono: fino al giudicato. O alla irrevocabilità del decreto di condanna. C’è un dettaglio: a quel punto la prescrizione non può più decorrere. Non c’è più tempo. Che senso ha usare la parola “sospensione”? La sospensione è una parentesi. Qui la parentesi non si chiude. È uno strafalcione che rivela l’atteggiamento davvero approssimativo con cui è stato formulato l’emendamento. Dopodiché mi pare chiaro che sia incostituzionale.
Ci spieghi esattamente anche la ragione dell’incostituzionalità.
La prescrizione da noi ha due anime. Una obbedisce al principio per cui su un determinato reato, dopo che è trascorso tanto tempo, viene meno l’interesse sociale a realizzare la prevenzione che la legge pe- nale assicura. Si impone il trionfo dell’oblio. L’altra anima è nella necessità di dare seguito a quanto previsto dall’articolo 111: la legge assicura la ragionevole durata del processo. Così il processo invece diventa potenzialmente eterno. Durata eterna vuol dire durata ra- gionevole? Non credo.
Il ministro della Giustizia ha risposto in via preventiva: abbiamo stanziato 500 milioni per assumere magistrati e personale in modo da fronteggiare il maggior carico processuale che deriverà dalla “nuova” prescrizione.
Dimentica che ogni legislatura ha la sua disgrazia e che in quella precedente si è materializzata con la riforma Orlando. Lì si è già introdotta una bella franchigia rispetto al bilanciamento fra il trionfo dell’oblio e il cosiddetto rito della memoria che si rinnova negli atti qualificanti del processo. Con quella modifica si è regalato un bonus complessivo di tre anni rispetto al naturale decorso della prescrizione, due anni in particolare previsti per l’appello. Le assunzioni servirebbero per rimediare a tale già criticabile novità. Adesso invece si altera del tutto il sistema.
L’allungamento dei tempi sarà inevitabile?
Nei processi senza detenuti non c’è la sollecitazione dei termini di custodia cautelare, che si rinnovano fase per fase e mettono fretta: laddove viene meno il timore di finire sui giornali per un imputato di mafia rimesso in libertà, è la prescrizione a sollecitare il ritmo del processo. Ma con l’abolizione dopo il primo grado, l’appello si potrà fare dopo quattro o cinque anni, la Cassazione quando parrà più comodo. Certo, è insensato pensare che la modifica appena presentata passi il vaglio di costituzionalità. Ma intanto l’ubriacatura generale raddoppierà la durata dei procedimenti per i reati successivi all’entrata in vigore della norma.
Con un bel po’ di indagati ricattati dall’incubo di restare a vita nelle mani del pm: la prescrizione verrebbe bloccata persino se assolti in primo grado.
Certo. Ho sostenuto a suo tempo che il pm non può presentare appello contro sentenze di non colpevolezza. Il povero Pecorella ne trasse spunto per la sua famosa legge, la Consulta presieduta ne dichiarò l’incostituzionalità con una pronuncia molto criticabile. Fatto sta che se un giudice ti riconosce innocente, a seguito di un rito regolare, fuori dai casi di nullità dovuta per esempio a prove assunte in modo illegittimo, nessun altro giudice potrà mai riformare quel giudizio e condannarti oltre ogni ragionevole dubbio. Tanto è vero che nei Paesi civili, e non barbarici, l’appello del pm in caso di assoluzione non esiste. Anziché procedere in quella direzione ne scegliamo una diametralmente opposta ai princìpi di uno Stato liberale di diritto.
Si cancella anche la norma della ex Cirielli che non consentiva di far decorrere la prescrizione dal reato più recente di una serie continuata di delitti.
Quella riforma fu necessaria dopo che con Vassalli si erano allargate le maglie in modo da poter scorgere la continuazione tra reati anche molto diversi. Quella di Vassalli fu una scelta deflattiva che impose la modifica introdotta con la ex Cirielli. Se con l’emendamento Bonafede tale modifica va a farsi benedire, si consegna al giudice il potere di stabilire se c’è un unico disegno criminoso e quindi se un reato altrimenti già prescritto può ancora essere perseguito. In eterno. Viene di nuovo da ridere. Ma è anche una scorciatoia per non cedere allo spavento.
«UNO SGORBIO CHE NON PUÒ PASSARE IL VAGLIO DI COSTITUZIONALITÀ.
L’ARTICOLO 111 PARLA DI RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO: UNA DURATA CHE PUÒ ESSERE INFINITA È RAGIONEVOLE?»