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Contesti disagiati, mancanza di assistenti sociali, pervicace presenza della Camorra. Ma anche abbandono educativo, crisi della famiglia e delle scuole. Sono questi gli elementi alla base del fenomeno delle baby gang, secondo il Csm, che ha fotografato il fenomeno della devianza dei minori a Napoli. Un’analisi che mette a nudo le carenze delle istituzioni - basti pensare che nella città metropolitana di Napoli gli assistenti sociali sono 1.042, uno ogni 5.600 abitanti -, ma stigmatizza anche l’esigenza di reprimere, oltre che di prevenire. Un aspetto che emerge chiaramente nell’intervento del consigliere Antonio Ardituro, secondo cui bisognerebbe abbandonare un certo «buonismo» perché «un ragazzo che delinque a 16 anni è consapevole di quello che sta facendo». Parole, queste ultime, sulle quali il garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, mette in guardia: «Siamo contrari all’abbassamen-to dell’età per l’imputabilità ha detto al Dubbio -, i ragazzi vanno rieducati prima che criminalizzati e colpiti». E sulle comunità separate in base alla provenienza dal campo penale o da quello civile afferma: «Bisogna evitare le ghettizzazioni» .
Partiamo dalla risoluzione: cosa le piace?
Ci piace l’impostazione basata sulla prevenzione e non semplicemente sul contrasto. In quanto autorità di garanzia di diritti abbiamo una forte attenzione anche al fenomeno della devianza dei minori, interessati dai delitti sia come autori, sia come vittime e testimoni. In questo c’è stato il nostro interesse a seguire tutto l’iter e la risoluzione percepisce molte nostre osservazioni. Dietro un ragazzo che delinque c’è il fallimento della collettività e questa risoluzione è positiva perché valorizza il ruolo degli uffici giudi- ziari in chiave di una giustizia che non è solo applicazione della legge, ma che abbia anche una forte connotazione sociale.
Però il consigliere Ardituro alcuni di questi ragazzi sono pienamente consapevoli delle loro azioni. La pensa così anche lei?
Sgomberiamo il campo: ogni discorso relativo all’abbassamento dell’età per l’imputabilità non ci trova d’accordo. Come autorità riteniamo che l’età debba essere ferma a 14 anni, perché al di sotto non c’è assolutamente consapevolezza. Quando analizziamo questi casi ci troviamo di fronte a bambini e ragazzi che devono essere rieducati, prima che puniti. Un’altra considerazione va fatta, però, sull’arresto in flagranza: consentire l’arresto attraverso pene edittali più basse può essere un passaggio obbligato per indirizzare il ragazzo verso una seconda vita e renderlo libero di scegliere.
Cioè bisogna arrestare i ragazzini?
Spesso i ragazzi hanno bisogno di un evento tragico, che consenta loro di elaborare e rielaborare quello che hanno commesso. A volte, l’immediata riconsegna del ragazzo nell’ambito della famiglia di origine, se deprivata e non accogliente, non è una buona scelta. Un evento di rottura, accompagnato dall’individuazione di una comunità di accoglienza, anche in un posto lontano, dove sia possibile trovare degli accompagnatori altamente positivi, può essere una scelta molto positiva.
Non rischia di essere drammatico?
L’unità della famiglia va il più possibile salvaguardata, questo lo ribadiamo. La convenzione di New York sostiene il diritto alla salvaguardia delle relazioni familiari. Ma nel nostro diritto è possibile adottare provvedimenti di decadenza o sospensione della potestà genitoriale quando si verificano fatti gravi, che inficiano alla radice la possibilità del ragazzo di essere educato in quel contesto. Spetta all’autorità giudiziaria valutare caso per caso, consapevole che va salvaguardata l’unità familiare, ma anche che bisogna proteggere i ragazzi da situazioni maltrattanti.
Al momento esiste una mappatura completa dei casi?
No: quanto fatto a Napoli va esteso a tutta Italia. Il Csm ha fatto un buon lavoro, iniziando dalla realtà napoletana, ora bisogna avere una mappatura su scala nazionale, anche per individuarne i contorni. È importante capire se c’è un decremento o un incremento della delinquenza minorile.
Il documento evidenzia anche una carenza importante di assistenti sociali nella realtà napoletana. Non è questo forse il problema principale?
Si tratta di un numero imbarazzante ed è fondamentale investire nei servizi sociali, altrimenti sarà impossibile intervenire. Per prevenire bisogna attivare le risorse del territorio e la comunicazione, ora assente, tra scuola e uffici giudiziari. Se a scuola un ragazzo non ci va è chiaro che l’istituto deve segnalare subito l’abbandono scolastico agli uffici giudiziari, perché le procure, per legge, hanno la possibilità di fare degli interventi a tutela del ragazzo e indagare per capire perché non va a scuola. Ma questa comunicazione deve funzionare nell’immediatezza. I servizi sociali devono intervenire subito per prevenire, altrimenti non rimane che il contrasto, che rappresenta un danno. I ragazzi vanno rieducati prima che crimina- lizzati e colpiti, cosa che poi rappresenta un costo per la società.
Si torna a parlare di allontanamento dei minori dai propri genitori. Vale anche in questi casi, oltre che nei contesti di criminalità organizzata?
Sì, dove si riconosca che il permanere dei legami familiari possa aumentare la devianza verso comportamenti criminali. Altrettanto efficaci, nella medesima prospettiva, possono dimostrarsi le misure di allontanamento dai luoghi di origine. Abbiamo analizzato la giurisprudenza del tribunale di Reggio Calabria, che ha avviato questo tipo di progetti, e abbiamo seguito con attenzione il progetto “Liberi di scegliere”. Sappiamo che il tribunale di Napoli ha provveduto, in alcuni casi, in maniera analoga, ma non abbiamo esaminato i singoli casi.
Non c’è il rischio di occuparsi di questo tema solo quando c’è il fatto eclatante e perdere di credibilità agli occhi di questi ragazzi?
In realtà stiamo andando nella direzione di strutturare gli interventi, con il coordinamento tra procure ordinarie e minorili. Le prime, appena hanno contezza del coinvolgimento di minori nelle loro indagini, attraverso la tempestiva comunicazione alle procure minorili, possono consentire di attivare interventi di protezione.
Parlarsi inizia a produrre effetti di collaborazione tra le istituzioni.
La risoluzione ritiene giusto separare i ragazzi destinatari di provvedimenti civili da quelli finiti nell’ambito penale. Non si rischia di ghettizzare gli uni o gli altri?
Questo è il punto della risoluzione che, a mio avviso, merita approfondimento. Pensiamo che bisogna evitare ghettizzazioni e che ogni rigidità rischi di non coincidere con l’interesse di questi ragazzi. Bisogna credere fino in fondo nella possibilità di rieducare. in questo le comunità promiscue possono rappresentare una risorsa, anziché un problema.