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Marta Cartabia
Si compie almeno un atto di giustizia, è il caso di dirlo, quando ieri mattina nell’aula del Senato le tre relatrici espongono il contenuto della riforma civile. In particolare in un coraggioso passaggio dell’intervento di Fiammetta Modena, di FI, che ha ricevuto dalla commissione l’incarico di esporre il testo insieme con Anna Rossomando del Pd ed Elvira Evangelista del M5S. Modena dice che, con il ddl riformulato da Cartabia e partiti di governo, «si sono superati due preconcetti. Il primo è che la causa della lunghezza dei processi sarebbe nei troppi avvocati. Dalla commissione Luiso», aggiunge la parlamentare, «è uscita invece con chiarezza l’indicazione secondo cui il collo di bottiglia è quello della decisione».
È un discorso finalmente onesto, che segnala però anche il collo di bottiglia della stessa riforma. Perché se è così, se in realtà il cappio che finora ha soffocato la giustizia civile è l’assenza di «decadenze per i giudici», per citare la controparte, cioè Alberto Balboni di Fratelli d’Italia, è vero pure che le numerose modifiche al rito previste dal ddl non strozzano affatto le incombenze del magistrato ma solo quelle dei difensori. E sempre per Balboni, voce dell’unico partito di opposizione, «è inaccettabile la compressione assurda e immotivata per i diritti delle parti, con un sistema di decadenze e preclusioni che riguardano sempre e solo loro». Appunto.
È quello che l’avvocatura, dal Cnf all’Unione nazionale Camere civili, ha ripetuto per un annetto e mezzo, dall’incardinamento cioè del testo originario a firma Bonafede. Qualcosa è cambiato, negli emendamenti, per la fase introduttiva, con un alleggerimento dei termini a disposizione delle difese in vista della prima udienza. Ma è comunque rimasta la «concentrazione» imposta alle parti.
Qui si può richiamare la nota con cui i senatori 5 Stelle della commissione Giustizia plaudono, finita la discussione generale, a quel versante del testo: la prima udienza, dicono, «smette di essere un appuntamento formale e diventa un passaggio effettivo: all’atto di citazione, l’attore dovrà esporre chiaramente le ragioni della domanda e i mezzi di prova, allo stesso modo il convenuto dovrà proporre la sua difesa indicando in modo esplicito mezzi di prova e documenti». Una rigidità in parte corretta con il restyling governativo intervenuto a inizio settembre dopo i vertici di maggioranza. Ma che resta. Ed è forse il carattere prevalente della riforma, che sancisce una continuità fra Bonafede e Marta Cartabia. All’attuale guardasigilli va comunque riconosciuto uno sforzo di mediazione rispetto ai rilevi del mondo forense.
Dopodiché resta il dato: la maggioranza condivide uno schema in base al quale la tenaglia vale per le parti ed è piuttosto flessibile nel caso del giudice. Basti citare il consigliere Cnf Alessandro Patelli, che definisce «inutile» la norma con cui l’esecutivo ha previsto la fissazione di un’udienza che assegni la causa in decisione: se poi la sentenza non arriva, nessuno è chiamato a risponderne.
Nonostante la condivisione solidissima tra i partiti di governo (così lontana dagli attriti sul ddl penale), quasi certamente martedì prossimo, quando alle 16.30 riprenderà l’esame dell’Aula, sarà anche posta la questione di fiducia. D’altronde Cartabia ha sempre tenuto a ricordare che «dal ddl civile dipende materialmente l’erogazione del Recovery fund». Resta in ogni caso l’impressione che i partiti di maggioranza siano consapevoli di aver tollerato più di una forzatura sul rito.
La senatrice Modena difende altre virtù dell’impianto riformatore: «I soldi ci sono, e anche parecchi, tra la mediazione, il Tribunale della famiglia e tutto il resto». La svolta in ambito familiaristico è la parte che l’avvocatura non ha mancato di apprezzare: una nuova struttura che «unifica e rende omogenei i riti», come ricordato dalla presidente Cnf Maria Masi, riprende la “Proposta per il Recovery” presentata nel dicembre 2020 al governo dalla massima istituzione dell’avvocatura. È perciò «motivo di soddisfazione», ha detto Masi. È innanzitutto Rossomando a segnalare una delle novità più forti, «la previsione dell’ascolto diretto da parte del giudice quando il minore rifiuta di vedere un genitore».
Lo ricorda anche la relatrice del Movimento 5 Stelle, Evangelista, che osserva: «Il Tribunale della famiglia è un istituto che aspettavamo da tanti anni: con questo ddl lo abbiamo creato e si avvarrà, finalmente, di giudici con elevata specializzazione nella materia. Soprattutto», ricorda la senatrice, «abbiamo bisogno di magistrati adeguatamente preparati all’ascolto dei minori». Su questo piano, Evangelista, Modena e Rossomando, tutte avvocate, sono perfettamente in linea con le aspettative del Cnf. Che, per la verità, aveva auspicato una maggiore specializzazione dei magistrati anche in altri ambiti.
È la presidente dem della commissione Femminicidio di Palazzo Madama, Valeria Valente, a far notare come «finalmente la violenza contro le donne entri a pieno titolo, chiamata e riconosciuta per quello che è, anche nel processo civile». In pratica, come spiega anche Rossomando, si stabilisce il «collegamento del processo in materia di famiglia alla Convenzione di Istanbul». E ancora, lo stesso sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto ricorda che l’attenzione alla materia familiaristica è una «scelta importante anche sul piano sociale, che FI ha fortemente caldeggiato».
Nei lavori del Senato seguiti dall’altra sottosegretaria, Anna Macina dei 5S, l’intera maggioranza rivendica ancora il peso assicurato dal ddl alle soluzioni alternative delle controversie. Sempre Modena fa notare che si è «individuato lo strumento del Testo unico per dare ordine a tutte le Adr. Non ci sono solo mediazione, negoziazione e arbitrato: per le bollette, ad esempio, c’è un sistema che funziona benissimo presso l’Adiconsum, e c’è l'arbitrato bancario». Anche Rossomando rivendica «il più ampio ricorso ai riti alternativi», e la nota collegiale dei pentastellati segnala che «per favorire la mediazione vengono previsti incentivi fiscali sul compenso dell’avvocato».
Basterà a centrare gli obiettivi- monstre reclamati dall’Ue, ovvero ridurre del 40% i tempi dei processi entro il 2025? Andrea Ostellari, presidente leghista della commissione Giustizia, è convinto di sì. Anche se ammette che «forse la riforma poteva ancora essere migliorata». Con la fiducia in arrivo, il discorso è chiuso.