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Dovevano essere le rivelazioni, dichiarate però inattendibili dalla procura di Caltanissetta, del pentito Maurizio Avola a essere l’oggetto principale dello “Speciale mafia” di la 7, condotto da Enrico Mentana, ma a rubare la scena e spostare l’attenzione sulle cause della strage di via D’Amelio che hanno portato all’uccisione di Paolo Borsellino, è stata la figlia Fiammetta Borsellino. Per la prima volta, in prima serata, si è parlato del dossier mafia-appalti e della sua gestione da un punto di vista totalmente inedito. A farlo, appunto, non sono stati i giornalisti presenti, Michele Santoro (autore del libro “Nient’altro che la verità”, uscito ieri) e Andrea Purgatori che sposa in toto il teorema trattativa e la caccia alle “entità” non meglio definite, ma una donna che ha deciso di andare controcorrente, non adeguarsi alla narrazione unica di una certa antimafia, ma semplicemente attenendosi ai fatti riscontrati nel tempo. L’unica a sostenerla, visto che ne è stato testimone, è stato l’ex giudice di Mani Pulite Antonio Di Pietro. Ed è lui che ha ricordato il fatto che Paolo Borsellino gli chiese di fare presto per collegare le indagini siciliane con quelle di tangentopoli. Parliamo di grossi gruppi imprenditoriali del nord che erano collegati nella gestione mafiosa degli appalti. Ribadendo che in più occasioni il capitano dei Ros De Donno si rivolse a lui perché si interessasse del dossier mafia-appalti, dal momento che la procura di Palermo lo ignorava. Non solo. Contestualizzate le testimonianze di Agnese Borsellino Per la prima volta, grazie al suo accorato e coraggioso intervento, Fiammetta Borsellino ha contestualizzato le testimonianze della madre, Agnese, su ciò che le disse Paolo Borsellino. Testimonianze che nel tempo sono state forzate, adattate al teorema giudiziario, manipolando anche taluni passaggi. Una su tutte quella che riguarda i magistrati: ma diversi giornalisti e taluni pm dimenticano di riportarla nella sua interezza. Ci ha pensato Fiammetta Borsellino a ricordarlo, creando un palpabile imbarazzo in studio. Ricordiamo la vicenda. A ventiquattr’ore dai fatti di via d’Amelio, Borsellino passeggiava senza scorta sul lungomare di Carini. Con lui, soltanto Agnese, sua moglie. «Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere». Queste parole esatte di Agnese furono messe a verbale in sede giudiziaria il 18 agosto 2009, preceduta da una frase: «ricordo perfettamente». In un Paese normale dovrebbe essere compito dei giornalisti d’inchiesta a riportare i fatti, ma a farlo ci ha dovuto pensare la figlia di Paolo Borsellino. Borsellino quando era a Marsala già conosceva il dossier mafia-appalti Altro scoop televisivo, ma sempre di Fiammetta Borsellino e non dei giornalisti presenti. Spiega che c’è un passaggio della sentenza trattativa che riporta il falso. Quale? Ecco cosa scrisse la Corte nella sentenza: i giudici spiegano come non vi è la «certezza che Borsellino possa aver avuto il tempo di leggere il rapporto mafia-appalti e di farsi, quindi, un'idea delle questioni connesse, mentre, al contrario, è assolutamente certo che non vi fu alcuno sviluppo di quell'interessamento nel senso di attività istruttorie eventualmente compiute o anche solo delegate alla P.G., che, conseguentemente, possano aver avuto risalto esterno giungendo alla cognizione di vertici mafiosi, così da allarmarli e spingerli improvvisamente ad accelerare l'esecuzione dell'omicidio». Ebbene, Fiammetta Borsellino contesta aspramente questo passaggio, e lo fa con dati oggettivi. Ricorda che suo padre, quando era ancora alla procura di Marsala, ha subito voluto copia del dossier tanto da trovare spunto per sviluppare un filone di indagine sugli appalti di Pantelleria. Oltre a ciò, Borsellino stesso ha inviato il suo filone di indagine alla procura di Palermo pregando che confluisse nel dossier principale. Uno degli imprenditori citati in mafia-appalti aveva i verbali di interrogatorio di Leonardo Messina A quanto pare sarebbe rimasta lettera morta, tanto che Borsellino lo ha ribadito nuovamente durante la sua ultima riunione del 14 luglio. Senza parlare del suo interrogatorio al pentito Leonardo Messina nel quale ha riscontrato ciò che era già scritto nel dossier mafia-appalti: il presunto rapporto del gruppo Ferruzzi - Gardini con la mafia di Totò Riina, tramite i fratelli Buscemi. Ed ecco che Fiammetta Borsellino, durante lo speciale di Enrico Mentana, lancia un altro scoop. Un fatto singolare mai riportato da alcun giornale, né tantomeno negli innumerevoli servizi giornalistici d’inchiesta. È accaduto che uno degli imprenditori che compaiono nel dossier mafia-appalti, è stato fermato dai Ros e gli hanno rinvenuto nello zaino i verbali di Leonardo Messina che erano riservati. Chi gliel’ha dati? Di certo non Paolo Borsellino. Ma com’è detto gli animi, durante la trasmissione tv, si sono surriscaldati e Purgatori ha mosso delle obiezioni a Fiammetta Borsellino sul fatto che i Ros avrebbero inviato i nomi dei politici in un secondo momento. Ed ecco cheviene rispolverata la teoria della doppia informativa. A questo punto per decostruire questa storia, trita e ritrita, basterebbe citare ciò che scrisse la Corte d’appello che ha assolto Calogero Mannino relativamente al processo stralcio sulla presunta trattativa Stato- mafia. Vale la pena riportarne qualche passaggio, perché è relativa proprio alla tesi dell’accusa per far credere che i Ros volessero proteggere i politici, in funzione della trattativa. «Non può tacersi il fatto che – scrive la Corte in merito a mafia appalti - un riverbero della grande rilevanza dell'indagine si ha in numerosi atti presenti nel processo (…) E deve inoltre osservarsi che la ricostruzione dell'organo dell'accusa appare in contrasto logico irrimediabile col fatto che i magistrati che dirigevano l'indagine dovevano tenere il controllo e la direzione, appunto, degli atti degli investigatori da loro delegati, ivi comprese quelle intercettazioni che si afferma non essere state inserite nell'informativa presentata alla Procura, e che in ogni caso avrebbero dovuto gestire e garantire anche successivamente il più adeguato sviluppo di una così significativa investigazione, che coinvolgeva il sistema corruttivo delle spartizione degli appalti pubblici in Sicilia». La procura di Caltanissetta: non trovati riscontri sulle dichiarazioni di Avola Poi va sul punto rispolverato da Purgatori: «È noto altresì che il Gip di Caltanissetta, investito della questione della gestione di quella indagine, arrivò alla conclusione di escludere l'ipotesi della doppia informativa». Tutto scritto nero su bianco. Nel frattempo, a proposito dello scoop di Michele Santoro, la procura di Caltanisetta conferma che l’anno scorso, Avola, sentito in un interrogatorio, ha riferito della sua presenza in via D’Amelio, «a distanza di oltre 25 anni dall’inizio della collaborazione con l’autorità giudiziaria». Il pool coordinato dal procuratore aggiunto Gabriele Paci ha subito iniziato l’indagine, alla ricerca di riscontri: «I conseguenti accertamenti –scrive ieri la procura nissena – finalizzati a vagliare l’attendibilità delle dichiarazioni rese, riguardanti una vicenda ancora oggi contrassegnata da misteri e zone grigie, non hanno trovato alcuna forma di positivo riscontro che ne confermasse la veridicità. Sono per contro emersi – precisano i pm – rilevanti elementi di segno opposto, che inducono a dubitare». Quindi Santoro ha preso probabilmente un abbaglio, ma gli va dato atto che – al di là di Avola -, ha riportato la mafia nella sua reale dimensione. Non eterodiretta, nessun terzo livello, ma autonoma e indipendente da qualsiasi altro potere. In fondo, è quello che Giovanni Falcone cercava di spiegare nei libri e nei suoi innumerevoli interventi.