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«Tutto è stato disatteso dalla parte poco sana delle istituzioni: mio padre è stato tradito da vivo e da morto». Sono alcune delle parole, forti e appassionate, di Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, magistrato ucciso nella strage di via D'Amelio a Palermo il 19 luglio 1992. Parole seguite da scroscianti applausi da parte delle centinaia di studenti al Teatro Massimo di Cagliari, durante l’incontro della settimana scorsa “La verità è un diritto', organizzato dall'Osservatorio per la giustizia.
Prima dell’incontro, nella mattinata, Fiammetta Borsellino si è recata a Sestu per deporre una corona di fiori sulla tomba di Emanuela Loi, una dei componenti della scorta di Borsellino, uccisa nella strage di via D’Amelio. Ha incontrato Maria Claudia, la sorella dell’agente di scorta, e si sono abbracciate. La prima cittadina Paola Secci, nell’occasione, ha voluto ringraziare l'avvocato Patrizio Rovelli, Presidente dell'Osservatorio per la giustizia, che ha reso possibile l’incontro. Poi è arrivato il pomeriggio, ed è lì che al teatro Massimo di Cagliari ha preso il via il primo incontro. La sala era gremita e l’emozione ha coinvolto tutti i partecipanti.
«Sono qui – ha esordito Fiammetta - per condividere con voi il ricordo di mio padre e con l’auspicio che assuma un ruolo diverso, perché diventi il patrimonio di un popolo: parliamo di un uomo che è morto nell’esercizio del dovere per senso di fedeltà allo Stato, come salvaguardia dei diritti e delle libertà». La figlia più piccola di Paolo Borsellino parla del coraggio di portare avanti la scelta da che parte stare «anche quando c’è il pericolo: la paura non è grave – sottolinea Fiammetta -, purché ci sia il coraggio. Mio padre – ha raccontato - prima di andare a letto si guardava sempre allo specchio per capire se lo stipendio se lo fosse meritato».
Fiammetta era giovanissima quando il padre era ancora in vita e istitutiva il maxi processo, ricorda la scrupolosità che utilizzava per le indagini. «Metodo di indagine – ha raccontato – non avvenuto però per l’accertamento dei responsabili sulla strage di Via D’Amelio». Parliamo del più grande depistaggio della storia, come sentenziato dal Borsellino Quater. «Se oggi sappiamo qualche verità - ha spiegato Fiammetta – è perché nel 2008 Spatuzza ha detto la verità, e cioè che non era stato Scarantino che non aveva organizzato la strage». La figlia di Paolo Borsellino ha sottolineato: «Il problema è che Scarantino è stato indotto, da chi lo gestiva, e questo lo stabilisce la sentenza Borsellino Quater». Poi ha aggiunto: «Lui era di infimo spessore ma facilmente manovrabile, perché è stato gestito in primis dai poliziotti e poi dai magistrati che avevano governato le indagini».
Il moderatore dell’incontro, l’avvocato Patrizio Rovelli, presidente dell’Osservatorio per la giustizia, ha approfittato per ricordare il ruolo fondamentale dell’avvocato e ha fatto proprio l’esempio della gestione dei pentiti, perché «con loro la prudenza e l’attenzione deve essere massima».
Interessante l’intervento della giornalista della Rai Barbara Romano. La domanda posta è stata secca: «Noi abbiamo una sentenza che punta il dito accusando i magistrati e i poliziotti. Da giornalista colpisce l’attacco nei confronti dei magistrati, secondo lei è colpevole insabbiare la verità?». Fiammetta Borsellino ha risposto che un atteggiamento di omissione deve essere accertato. «Prima di tutto dalla magistratura – ha spiegato - e poi dalle autorità disciplinari. Alcuni di questi magistrati – ha sottolineato - erano anche amici della mia famiglia: noi all’inizio, frastornarti, siamo stati in silenzio e in attesa; poi, quando abbiamo iniziato ad alzare la cresta, siamo stati isolati».
Barbara Romano ha citato una frase di Borsellino che molto spesso viene riportata a metà. «C’è questa frase, quando suo padre disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i magistrati a permettere che ciò potesse accadere. Cosa direbbe oggi suo padre?». Fiammetta ha risposto: «Non è facile rispondere a questa domanda. Immagino oggi mio padre come una persona che ha raggiunto la sua serenità. Mi piace vederlo non più tormentato come lo era nei 57 giorni dopo che era morto Falcone. Non sono tutti morti, c’è ancora chi, tra gli appartenenti alle Istituzioni e non, darà il suo contributo alla verità e chi dovrà fare i conti con la propria coscienza».
L’avvocata del foro di Milano Simona Giannetti ha ricordato di quando era al primo anno di università di Giurisprudenza proprio dopo le stragi, con l’animo di chi aveva un senso di ricerca della giustizia che avevano lasciato le stragi dell’estate 1992. «Volevo fare l’avvocato non il magistrato, perché sentivo di essere una garantista come in fondo lo erano Falcone e Borsellino. Loro avevano un metodo, cioè usavano i riscontri alle dichiarazioni dei pentiti e le consideravano solo il punto di partenza non di arrivo». L’avvocata Giannetti ricorda di come Falcone e Borsellino non erano amati in vita. «Loro davano un po’ fastidio – ha ricordato-, infatti Falcone nel 1991 a ottobre fu costretto a presentarsi davanti al Csm a dare spiegazioni per un esposto che gli fecero i politici di allora e il sindaco di Palermo Leoluca Orlando: gli contestavano di “tenere le carte nei cassetti” come a dire che non faceva i processi, peccato solo che non fossero come i due magistrati e quindi non potevano comprendere quello che Falcone disse al Csm in audizione. Disse che per processare qualcuno, servono i riscontri, perché poi un processo ha delle conseguenze».
Quindi Simona Giannetti fa l’inevitabile paragone con il depistaggio. «La sentenza del Borsellino Quater, poco fa già citata, parla delle indagini e le addita per “irritualità” e “anomalie”, quelle che hanno permeato l’intera vicenda processuale e investigativa della strage di Via D’Amelio. Ma nel processo – sottolinea- noi sappiamo che forma è sostanza, che il rito è ciò che legittima un atto. Irritualità è un termine che attiene alla sfera processuale, che non è quella dei poliziotti. E allora viene in mente che oggi Fiammetta è suo padre, cerca la verità, con coraggio, come lui le ha insegnato. Se posso dirlo: buon sangue non mente! Fiammetta cerca la verità!». L’avvocata Giannetti poi ha proseguito: «Perché suo padre è morto? Cosa stava facendo prima di morire? Fiammetta, ricordo, è andata da Fabio Fazio e ha detto che non si può fare a meno di cercare nell’indagine mafia- appalti di cui Paolo Borsellino si stava occupando. Sì, il 19.7.1992 alle ore 7 di una domenica mattina Pietro Giammanco, morto a dicembre scorso e mai sentito dagli inquirenti, chiamò a casa Borsellino e diede al Procuratore aggiunto la delega per occuparsi dell’indagine, che fu iniziata da Falcone. Borsellino era solo. Lo ha detto anche oggi Fiammetta: dobbiamo cercare la verità perché è un diritto e solo la verità rende liberi». Poi Giannetti ha ricordato il ruolo essenziale dell’avvocatura nell’accertamento sulla verità. «L’Avvocatura è quella che difende le garanzie costituzionali della difesa e del giusto processo. L’avvocato – ha spiegato Simona Giannetti – è quello che si occupa di evitare che le dichiarazioni di un pentito vengano considerate oro colato dalla Procura per impedire che ci siano i depistaggi». Poi ha aggiunto: «È su Radio Radicale, e permettetemi di dire “ Salviamo Radio Radicale”, che ascoltiamo il processo che è in corso a Caltanissetta nei confronti dei poliziotti che avrebbero materialmente realizzato il depistaggio svolgendo le indagini su Via D’Amelio. In queste registrazioni che, diciamolo, ci sono le difese degli imputati, con i loro esami e controesami, sono quelle che fanno emergere le circostanze più interessanti per tracciare un solco in cerca della verità».
Fiammetta Borsellino, sentendo queste ultime parole è intervenuta e ha confermato che le difese sono quelle che fanno le domande che lei stessa ritiene più utili dal punto di vista per la ricostruzione della verità.
L’incontro si è chiuso con l’intervento dell’avvocato di Cagliari Fabrizio Rubiu sul ruolo del difensore e sul diritto alla difesa oggi sempre più bisognoso di essere preservato. Un evento unico e raro, dove è emerso per la prima volta che la lotta alla mafia è imprescindibile dalla lotta per lo stato di diritto.