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No, non assomiglia al Ferragosto di dieci anni fa quello che si tiene oggi nell’anno del Coronavirus. Quando visitai il carcere dell’Ucciardone insieme al grande Vincino e ai miei compagni del Partito Radicale, Donatella Corleo e Gianmarco Ciccarelli, il sovraffollamento era alle stelle tanto che oltre 700 detenuti erano stipati in 400 posti.Vincino era entusiasta di poter entrare con me, (all’epoca ero deputata), nel carcere storico della sua città. Teneva in tasca il suo taccuino, matita e pennarello, pronto a riportare sulla carta quel che avrebbero visto i suoi occhi smaliziati. Mi raccomandai: «Non dire che sei un giornalista, perché per entrare come giornalisti occorre un’autorizzazione speciale che noi non abbiamo». Parole al vento. Ricevuti dal direttore Maurizio Veneziano, dopo una bella chiacchierata, alla richiesta dei documenti, Vincino tirò fuori il suo tesserino di... giornalista professionista! Non sapevo se ridere o piangere, vedendo inesorabilmente sfumata la nostra visita insieme. Il direttore fu indulgente, sorrise e ci fece entrare. Vincino riusciva ad osservare situazioni che a noi sfuggivano: un detenuto, per esempio, si era ricavato un mini studiolo artistico a ridosso di un finestrone ad arco dove poteva disegnare con il conforto della luce naturale. Il nostro vignettista avrebbe voluto regalargli seduta stante la sua collezione di pennarelli di mille colori, così come avrebbe voluto donare giochi di dama veri a chi si arrangiava con tabelle inventate su fogli incollati e tappi di bottiglia di due colori diversi. «E’ stato il più bel Ferragosto degli ultimi tanti anni – mi scrisse - mi metto in fila per le Murate, San Vittore, Le Nuove e Regina Coeli e prima o poi comprerò trenta dame da regalare all'Ucciardone». Mi manca Vincino, che se ne andò quasi a Ferragosto di due anni fa. Mi manca quell’amicizia che ci consentiva di arrivare in fondo in fondo al cuore degli uomini. Mi manca Marco con il quale l’Ucciardone l’avevo visitato proprio a Pasqua di quel 2010, sbarcando la mattina all’alba dopo una notte passata in traghetto io, lui e Matteo Angioli. Quell’anno furono oltre 200 i parlamentari che parteciparono al Ferragosto visitando quasi il cento per cento degli istituti. Quest’anno, causa Covid (sembra), sono solo cinque gli istituti che l’Amministrazione penitenziaria ci consente di visitare in delegazioni di non più di due persone. I parlamentari e i consiglieri regionali, che possono entrare in carcere - a differenza nostra - quando vogliono e senza bisogno di autorizzazione perché glielo consente l’art. 67 dell’Ordinamento Penitenziario, hanno raccolto l’appello del Partito Radicale solo in poche unità. Anche l’atmosfera è diversa: allora era più calda e partecipe anche se il sovraffollamento era di gran lunga maggiore. Era viva la speranza che ha visto decine di migliaia di detenuti partecipare agli scioperi della fame, ai Satyagraha incarnati negli anni da Marco Pannella e da tanti militanti della nonviolenza, tutti traditi dalla mancata riforma dell'ordinamento penitenziario che siamo arrivati ad un soffio dall’ottenere dopo gli stati generali dell’esecuzione penale. Tutti traditi dalla mancata amnistia oggi necessaria più di allora per riportare il nostro Stato, quindi la nostra “giustizia”, a percorrere la strada smarrita della legalità costituzionale. Occorrono uomini e donne che si facciano speranza, che la incarnino, che ne diffondano il contagio nei cuori delle persone.Non vorrei più ricevere lettere come quella di una moglie di un detenuto calabrese giunta in queste ore. «Mio marito – mi scrive - da marzo si trova praticamente in regime di 41-bis. Due soli colloqui al mese di un’ora ciascuno e non di più. Un solo familiare. Vetro davanti, di sopra e di lato; i detenuti hanno persino le sedie inchiodate a terra. Ci sono andata la scorsa settimana dopo ben 5 mesi che non andavo, e mi hanno trattata talmente male che piuttosto rinuncio a vedere mio marito, tanto il colloquio in sé è divenuto disumano». Oggi, rispetto ad allora, c'è un di più di impronta securitaria da parte dell’amministrazione, un di più di opacità e di chiusura che dobbiamo assolutamente battere, forti di quel “senso di umanità” di cui ci arma la nostra Costituzione.Negli ultimi giorni di Marco in vita quando gli chiedevo come stava mi rispondeva con la stessa domanda: “Come sto?” Voleva leggere in fondo al mio sguardo quanta forza d'amore c'era per andare avanti... Andremo avanti!