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Riaprono i tribunali e i cancellieri tornano in ufficio. Ma non senza polemiche e strascichi, dopo le dure contrapposizioni delle scorse settimane con l’avvocatura, che ha lamentato l’immobilismo della macchina giudiziaria durante tutto il periodo della Fase 2, terminato il 30 giugno. Contrapposizioni che hanno visto i sindacati di categoria schierarsi in maniera ferma a tutela dei cancellieri, che ora temono ulteriori ricadute per la salute. Giovedì, Cgil, Cisl e Uil hanno ribadito il concetto, evidenziando il ritorno alla «normalità» e una sostanziale “invasione” dei tribunali, anche e soprattutto «su pressione dell’avvocatura». Che metterebbe, dunque, a rischio la salute dei cancellieri, ignorati, secondo i sindacati della Funzione pubblica, dal ministro della Giustizia. Cgil, Cisl e Uil hanno scritto ai responsabili regionali e provinciali evidenziando come il decreto Giustizia, disponendo «la fine per legge dell’emergenza Covid negli uffici giudiziari», abbia fatto ripartire, in maniera «massiccia», le udienze penali e civili on site, «con decine di processi fissati nel medesimo giorno e con il conseguente accesso alle aule di un numero incommensurabile di avvocati, parti, testi, consulenti eccetera».
I sindacati: richiamare i capi degli uffici al rispetto delle norme di sicurezza
I sindacati, dunque, invitano le sigle locali a “richiamare” i capi degli uffici «al pieno rispetto dell’obbligo di sicurezza che la legge pone a loro carico in quanto datori di lavoro pubblici», procedendo a verificare se la normativa sulla sicurezza, specie quella emergenziale, «sia rispettata con particolare riferimento alla fornitura dei dispositivi di protezione individuale ed al distanziamento sociale». I decreti, sottolineano i sindacati, prevedono «il rientro in sede dei lavoratori in maniera graduale, specie per quei servizi la cui gestione può continuare ad avvenire anche da remoto», annunciando una verifica delle scelte organizzative connesse allo smart working.Il decreto Giustizia, pur anticipando, per gli uffici giudiziari, la fine dell’emergenza, non deroga però alla stessa normativa emergenziale, «specie quella in tema di smart working e di flessibilità del lavoro pubblico», né alla disciplina generale in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro. Così, Cgil, Cisl e Uil parlano di «ingiustificati e pretestuosi attacchi ai lavoratori della giustizia, accompagnati dall’assordante e connivente silenzio del ministro della Giustizia, che hanno costituito il volano dell’approvazione della legge 70/2020». Le polemiche, dunque, continuano. E un caso esemplare è quello di Lecce, dove Fiorella Fischetti, Fabio Orsini e Cosimo Rizzo, segretari generali, rispettivamente, di Fp-Cgil, Cisl-Fp e Uil- pa, hanno replicato all’avvocato Donato Salinari, secondo cui la paralisi dell’attività giudiziaria degli ultimi mesi sarebbe da addebitare proprio ai cancellieri. Per Salinari, infatti, «non vogliono tornare a lavorare», preferendo lo «smart nulling» e arrivando a proporre la decurtazione degli stipendi e l’eliminazione di buoni pasto e straordinari. Buoni, sottolineano le sigle sindacali, che non vengono percepiti da chi svolge lavoro agile, così come gli straordinari. Mentre per quanto riguarda gli stipendi, «le retribuzioni non subiscono variazioni da decenni, il contratto è scaduto e le riqualificazioni non vengono fatte da oltre 25 anni». Durante il periodo di lavoro agile, continuano i sindacati, il personale amministrativo ha provveduto invece a sbloccare circa 1 milione per il gratuito patrocinio tra il 15 marzo e il 15 giugno. «Pensiamo che l’avvocatura abbia sbagliato bersaglio - aggiungono -, il personale giudiziario da anni lavora sotto organico, l’emergenza sanitaria ha solo reso più evidenti tutte le criticità di un sistema obsoleto. La battaglia sull’accentramento degli uffici giudiziari, sostenuta in passato proprio dalla avvocatura, ha arrecato un serissimo danno sulla funzionalità del sistema giudiziario, così come la mancata piena informatizzazione non permette di lavorare da remoto, non solo a Lecce ma su tutto il territorio nazionale, se non per le notifiche penali e i programmi amministrativi». A bloccare gli uffici, concludono i sindacati, «non sono state le rivendicazioni sindacali, ma leggi dello Stato che hanno imposto, nelle fase emergenziale, a tutto il pubblico impiego questa organizzazione del lavoro. Siamo stanchi di dover sopportare un generalizzato atteggiamento antisindacale e dichiarazioni mai circostanziate contro i pubblici dipendenti, determinate dall’arroganza di giudicare le attività altrui, senza conoscerle».
Dl Giustizia, la nota del Cnf
In merito al decreto Giustizia, il Consiglio nazionale forense ha diramato una nota di approfondimento nella quale viene «stigmatizzata la modalità di intervento sulle norme che riguardano la tutela processuale dei diritti». Se, da un lato, viene accolta con favore l’anticipazione al 30 giugno del termine della Fase 2, dall’altra viene sottolineato l’effetto «dirompente sul principio di affidamento e sul diritto di difesa» là dove viene fatta ripartire «la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti medesimi», con la conseguenza che a partire dal 1 luglio «verranno meno i suddetti effetti sospensivi e impeditivi in forza di una disposizione che, a pochissimi giorni dalla nuova scadenza non è ancora vigente, senza alcuna considerazione dell’affidamento maturato in ragione della vigenza di un termine ben più ampio». Inoltre, il Cnf sottolinea come «gli interventi sul processo e sull’accesso alla tutela giurisdizionale contenuti nella legge di conversione lungi dall’essere definitivi, appaiono strettamente collegati all’iter di conversione di un’ulteriore decreto legge ovvero del c.d. Decreto Rilancio». Si tratta della previsione di una sperimentazione delle «innovazioni introdotte» durante l’emergenza, «per un periodo idoneo a verificarne l’efficacia, fino al 31dicembre 2021». Per il Cnf, però, «la sede di tali incisivi interventi sulla giustizia sia civile che penale è del tutto inopportuna: il cosiddetto decreto Rilancio è testo complesso, paragonabile a più d’una manovra finanziaria, sicché non si presta a consentire alcuna forma di dibattito parlamentare né di confronto disteso».