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«Non è vero che siamo rimasti inerti. Le criticità della "Save" erano note fin dallo scorso anno. È stato il ministero della Giustizia a non volere la revoca della concessione». All’indomani del crac di “Save srl”, la società veronese che da circa dieci anni, dopo aver vinto la gara d’appalto, curava la gestione dell’Istituto vendite giudiziari e per i Tribunali di Padova, Rovigo e Verona, interviene Ines Marini, presidente della Corte d’Appello di Venezia. Il vertice della Corte lagunare è “accusato” in queste ore di non essersi accorto che la "Save" era a rischio insolvenza e di non aver ben vigilato. «La prima segnalazione sulle criticità finanziarie di "Save" risale agli inizi del mese di aprile dello scorso anno, da parte del presidente del Tribunale di Verona», puntualizza subito la presidente della Corte d’Appello di Venezia. «Ricevuta la segnalazione, immediatamente - prosegue - convocai illegale rappresentante della società perché fornisse chiari-menti su quanto stava accadendo, e inviai quindi una nota dettagliata al ministero della Giustizia. Dopo poche settimane, illegale rappresentante di "Save" venne convocato anche a via Arenula», aggiunge la presidente Marini. I vertici della società si impegnarono allora a fornire al ministero di via Arenula «report trimestrali per consentire un costante monitoraggio sull’andamento del piano di rientro dalla situazione debitoria», ricorda ancora la presidente della Corte d’Appello di Venezia. «L’immediata revoca non avrebbe fornito alcuna garanzia di soddisfazione degli interessi creditori», dissero dal ministero, scegliendo così di garantire la continuità operativa della società al fine di consentire il ripianamento del debito. E questo anche perché la situazione di dissesto non era attribuibile all’attuale management. Il tutto, dissero sempre a via Arenula, «in un’ottica di prudente bilanciamento degli interessi». La situazione finanziaria della “Save”, però, è definitivamente precipitata nelle scorse settimane. Il Tribunale di Padova, a metà luglio, ha disposto il fallimento della società su richiesta di un curatore della città euganea che reclamava circa 200mila euro. Il buco, dalle prime stime, parrebbe ammontare ad oltre 4milioni di euro. L’attività di “Save” presso i Tribunali parte da lontano: la prima concessione ministeriale risale al 1979. I tre uffici giudiziari veneti si affidavano alla società per mettere in vendita i beni provenienti da procedure fallimentari o oggetto di espropriazione forzata. Un business da milioni di euro. “Save” incassava il denaro per conto dei curatori fallimentario degli stessi Tribunali, tratteneva la dovuta percentuale, e cedeva liquidità ai creditori. Alcuni ex amministratori di “Save” erano stati arrestati lo scorso febbraio per frode fiscale in una indagine della Procura diBrescia. Il deputato veneto di Forza Italia Pierantonio Zanettin, ex componente del Csm, ha presentato l’altro giorno una interrogazione al ministro dellaGiustizia Alfonso Bonafede per capire cosa effettivamente sia successo e quali «iniziative normative intenda assumere per evitare il ripetersi di situazione analoghe». Le principali vittime del default di “Save” sono ora i tanti creditori dei fallimenti, spesso lavoratori dipendenti già vittime dei crac delle loro ex imprese. Tutta in salita è adesso la strada per i risarcimenti. Oltre al danno, la beffa.