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Fabrizio Miccoli
La vicenda è quella del calciatore Fabrizio Miccoli, entrato in carcere pochi giorni fa dopo che la Cassazione ha confermato la sua condanna. Il tema è quello attuale dei reati ostativi dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, introdotto con d. l. 152 del 1991 e modificato dopo le stragi mafiose di Capaci e Via D’Amelio. Quella di Miccoli è la storia dell’esecuzione di una condanna a tre anni e sei mesi di reclusione, per cui l’aggravante dell’ 416- bis 1 c. p. impedisce ogni alternativa al carcere per tutta la durata della pena in assenza di collaborazione.
Quindi non solo esclusione della sospensione dell’esecuzione, ma anche insormontabile divieto di misure alternative. E’ questo l’epilogo della vicenda, che rimanda a quel principio del diritto alla progressione trattamentale, di cui già aveva dedotto la Consulta in un insospettabile anno 2018 con la sentenza 149.
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Qui, la Corte aveva rilevato l’incompatibilità con l’assetto costituzionale delle previsioni, che escludevano in modo assoluto l’accesso ai benefici solo per certi condannati, pur in presenza di un percorso di rieducazione e solo in ragione della gravità del reato. Miccoli allo stato non può accedere all’affidamento in prova ai servizi sociali, neppure se dimostrasse nel corso della sua detenzione di aver portato a termine un percorso di rieducazione, salvo non scegliere la collaborazione.
Forse apparentemente più una storiaccia di amicizie viziate prima ancora che una vicenda di malavita, la contestazione dell’aggravante “mafiosa” inserita nell’articolo 416 bis. 1 c. p. al calciatore è la ragione del vincolo ostativo assoluto. Si tratta dell’aggravante speciale, che presuppone che l’illecito sia stato realizzato con l’utilizzo della forza intimidatoria dell’associazione mafiosa. A parte la nota frase di innegabile gravità riferita a Giovanni Falcone, l’intercettazione che porta Miccoli alla condanna è infatti quella intercorsa con il figlio del boss Lauricella, a cui avrebbe chiesto di aiutarlo a far restituire del denaro. Il reato risalirebbe al 2011, ma l’avviso di garanzia al 2013: nell’occasione Miccoli chiese scusa in una conferenza stampa, per quanto detto nella conversazione intercettata rispetto alla memoria di Falcone. Sembra che ci fossero anche dei messaggi sulla sua inversione di marcia rispetto alla richiesta avanzata al Lauricella.
Ebbene, è però da dire che numerose sono le vicende come quella di Fabrizio Miccoli. Col tempo l’assoluto vincolo della collaborazione ha infatti interessato sempre più reati inseriti nel catalogo “della prima fascia”, oltre a quelli di mafia e terrorismo dell’originaria previsione: l’ultima frontiera si è avuta con la cosiddetta legge “spazzacorrotti”, che ha gettato nel 4 bis numerosi delitti contro la pubblica amministrazione, secondo la ratio populista che li ha equiparati ai reati di mafia.
Oggi il tema è sul tavolo della politica anche grazie alla Corte Costituzionale: con la sua ordinanza 97 del 2021, visto il carattere demolitorio della decisione e i suoi possibili “effetti disarmonici” sulla disciplina nel complesso, ha imposto a un legislatore, da anni impegnato ad evitare la discussione, di “ricercare il punto di equilibrio anche alla luce delle ragioni di incompatibilità con la Costituzione”. Per questo motivo alla Camera è in discussione la modifica legislativa del 4 bis, che dovrebbe recepire le sollecitazioni della Consulta : il condizionale è d’obbligo, visto che quando si parla di mafia l’assedio conservatore schiera i suoi più autorevoli generali.
Il dato certo è che il Parlamento dovrebbe portare a termine il mandato della Consulta almeno prima del 10 maggio prossimo, quando all’udienza pubblica la Corte tratterà le questioni di legittimità costituzionale sul vincolo della collaborazione a proposito della liberazione condizionale di ergastolano ostativo. E ciò seppur con la sua sentenza 253 del 2019 avesse già detto della collaborazione, che non dovesse essere sintomo di credibile ravvedimento, ma neanche indice del contrario.
Ferma l’irragionevolezza del vincolo assoluto della collaborazione, l’auspicio è che il legislatore non tralasci le applicazioni del diritto alla progressione trattamentale, ma nemmeno dimentichi le sollecitazioni della Consulta sulla diversificazione di trattamento rispetto ai vari gradi di offensività dei reati del catalogo del 4 bis. Gli articoli da non tradire sono 3 e 27 della Carta; sul punto la Corte Costituzionale si è conservata il diritto di replica al 2022, se cosi vogliamo chiamarlo.