«Le carceri in Iran sono luoghi senza regole e anche gli adolescenti possono essere condannati a morte, in spregio a qualsiasi convenzione internazionale. E nessun giornale può raccontare quello che accade: l’unica tv è quella di Stato, che spesso manda in onda, prima dei processi, le false confessioni estorte ai prigionieri con la tortura». A raccontarlo al Dubbio, cinque anni fa, era Reza Khandan, attivista e marito di Nasrin Sotoudeh, avvocata iraniana per i diritti umani. Due nomi che in Iran significano lotta e che dal carcere di Evin, quel buco nero senza regole né diritti dove ora si trova sequestrata Cecilia Sala, ci sono passati diverse volte. Khandan, oggi, si trova di nuovo lì dentro, “colpevole”, per l’Iran, di aver fatto propaganda contro il velo. Con alcune spillette che gli sono costate una condanna a sei anni contraria ad ogni logica e ad ogni diritto. Ma è così che funziona l’Iran, dove le detenzioni arbitrarie, le torture e gli abusi sono parte integrante della storia. E di un luogo, Evin, che rappresenta il peggio del peggio. La struttura si estende su 43 ettari ai piedi delle montagne a nord di Teheran.

Inaugurata nel 1972, sin dal principi luogo in cui far marcire gli oppositori politici. Il carcere è composto da due sezioni, il reparto generale della prigione e il reparto del centro di detenzione di sicurezza. «Il settore pubblico è un luogo dove i detenuti trascorrono le loro pene e hanno condizioni più normali, anche se la possibilità di accedere alla linea telefonica, per le donne politiche recluse a Evin, è molto, molto limitata - raccontava Khandan -. Il settore della detenzione di sicurezza è, invece, indescrivibile: lì non esiste la legge. Non c’è alcuna supervisione su ciò che accade. Anche al capo della prigione non è permesso entrare nei centri di detenzione di sicurezza. I prigionieri sono spesso tenuti in isolamento e talvolta torturati. Sono sottoposti a estenuanti interrogatori per settimane e spesso anche a gravi violenze fisiche e psicologiche. È in questi centri di detenzione che i detenuti sono costretti a fare false confessioni a causa della tortura e la televisione di Stato, che è l’unica emittente televisiva del Paese, trasmette queste confessioni ancor prima che una persona sia processata e condannata. Quindi, sulla base di queste confessioni, il Tribunale rivoluzionario può condannare i detenuti a decine di anni di prigione o addirittura alla pena di morte».

Sala, nella sua telefonata ai familiari, ha descritto condizioni di detenzioni degradanti e inaccettabili: costretta a dormire a terra senza materasso, con una coperta da stendere sul pavimento e una per proteggersi dal freddo pungente della prigione. Il pacco spedito dall’ambasciata non è mai giunto a destinazione. Lì dentro, oltre a vestiti e cibo, c’era anche la mascherina per proteggersi dalla luce al neon accesa 24 ore su 24. E a Sala sono stati confiscati anche gli occhiali da vista. Insomma, un trattamento che la assimila ai prigionieri politici, che in Iran non mancano mai.

Il periodo più duro in quel carcere risale al 1988, alla fine della guerra con l’Iraq, quando migliaia di detenuti furono giustiziati dopo processi sommari. Ma è l’intero sistema carcerario iraniano a rappresentare una violazione dei diritti.

«Le carceri qui generalmente non dispongono di strutture di base per i prigionieri - aveva sottolineato l’attivista -. Insulti e intimidazioni sono all’ordine del giorno. La maggior parte delle carceri non separa i detenuti in base ai crimini. In molti casi, il trattamento dei prigionieri non è seguito e, in caso di ricovero al di fuori della prigione, nella maggior parte dei casi, il costo del trattamento è sostenuto dal detenuto, che deve acquistare forniture e persino cibo di cui ha bisogno con i propri soldi. Anche se la prigione è responsabile di provvedere ai bisogni dei detenuti, nella maggior parte delle carceri il livello di salute è molto basso e le persone recluse soffrono di varie malattie».

Le violazioni dei diritti umani in Iran sono diffuse e sistematiche ed avvengono per conto del governo. Le libertà sociali e politiche sono molto limitate. E non è un caso che il Paese sia al primo posto nel mondo per numero di esecuzioni rispetto alla popolazione. «La tortura (in particolare la fustigazione) viene applicata in forme legali, illegali e sistematiche - aveva sottolineato ancora Khandan -. La libertà dei media è generalmente limitata. Le elezioni nel Paese sono diventate un fenomeno senza senso. I diritti delle donne, delle minoranze etniche e religiose vengono ignorati e la discriminazione di genere dilaga. Le proteste pacifiche vengono generalmente represse. I cittadini possono essere condannati a cinque anni o più di carcere per aver usato internet. Un uomo di nome Ruhollah Zam, ex giornalista ed ex attivista, è stato condannato a morte per aver gestito un canale di Telegram antigovernativo. Mentre si trovava in Francia, dove era stato accolto come rifugiato, è stato ingannato, attirato in Iraq e una volta lì arrestato». Insomma, basta poco per finire in una prigione iraniana. Perché il governo «non consente la minima critica. Chiunque si oppone viene soppresso con tutte le forze, inclusi avvocati, insegnanti, lavoratori, donne e tutte le minoranze». E in questo panorama, «il sistema giudiziario iraniano non segue alcuna legge quando agisce contro l’opposizione. Agisce in conformità agli ordini impartiti dalle agenzie di sicurezza. I prigionieri politici sono tra i cittadini più indifesi dell’Iran e vengono trattati dalle forze di sicurezza utilizzando come loro strumenti i giudici delle corti rivoluzionarie».

Una repressione che non risparmia nemmeno i minorenni: «Le persone di età inferiore ai 18 anni vengono trattenute in luoghi chiamati centri correzionali. Quando raggiungono l’età di 18 anni, vengono trasferiti in prigione. Lo scenario peggiore è per gli adolescenti che commettono omicidi: il sistema giudiziario iraniano, al fine di aggirare questa convenzione internazionale che vieta l’esecuzione di coloro che hanno commesso crimini in età inferiore ai 18 anni, li detiene fino alla maggiore età e li giustizia dopo aver raggiunto l’età legale».