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Ergastolo ostativo. Magistrati, avvocati, professori universitari ed esperti della materia si sono riuniti ieri al Tribunale di Roma per un convegno dal titolo “L’ergastolo ostativo e la speranza: evoluzione giurisprudenziale nelle Corti interne e Internazionali”, organizzato dall’avvocata Maria Brucale, responsabile della Commissione carcere della Camera penale di Roma.
Scopo dell’incontro è stato quello di commentare la recente sentenza Viola v. Italia per cui l’ergastolo ostativo viola l’articolo 3 della Cedu. Sono stati trattati vari aspetti della decisione e ipotizzati possibili scenari, ma anche il contesto socio – politico in cui, a molti anni dall’emergenza stragista mafiosa, vigono ancora il 41bis e il 4bis. Punto fermo è che in Italia su 1700 ergastolani, 1200 sono ostativi. Il che significa “fine pena mai”, ossia morire in carcere.
«L’importanza di questa sentenza – ha detto l’avvocata Brucale – è innegabile. La Cedu non si pone in termini assoluti contro l’ergastolo ma censura una sanzione che sia mutilazione definitiva di vita senza aspirazione di reinserimento e riabilitazione, che neghi il senso della buona condotta in carcere».
Questo non basta però per ottenere dei benefici per Vittoria Stefanelli, magistrato di Sorveglianza di Roma: «La collaborazione è un passaggio obbligato e non è neanche sufficiente per dire che la revisione sia completa» e ha aggiunto che «se il condannato non collabora, non è l’uomo nuovo che dice di essere».
Per Stefano Anastasia, Garante detenuti regione Lazio «l’ergastolo non dovrebbe esistere perché contrasta con l’articolo 27 della Costituzione e perché nessun essere umano, come diceva Kant, può essere utilizzato per fini altrui”.
Rita Bernardini, membro della Presidenza del Partito Radicale, ha citato invece Leonardo Sciascia per cui «la mafia non si combatte con la terribilità della legge ma con lo Stato di Diritto». «Se si continua a dire – ha proseguito la Bernardini – che la mafia è sempre più forte, allora qualcosa nel governo del fenomeno non ha funzionato».
Le ha fatto eco l’avvocato Gianpaolo Catanzariti, Responsabile Osservatorio Carcere Ucpi, secondo il quale «il fenomeno mafioso non può essere trattato solo come fenomeno criminale ma come causa- effetto di una arretratezza sociale. La mafia è sempre più forte, ma intanto noi abbiamo stracciato lo Stato di Diritto».
Per Fabio Gianfilippi, magistrato di Sorveglianza di Perugia, che proprio lo scorso maggio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, «l’evoluzione della persona, del detenuto avviene nel corso del tempo e passa anche attraverso il contatto con l’esterno. Chiudere questa possibilità significa assumersi il rischio di bloccare il cambiamento del detenuto».
Secondo L’avvocato Stefano Savi, responsabile Commissione penale e Procedura penale del Consiglio Nazionale Forense, «quella della Cedu è una sentenza importante. Occorre infatti stare attenti a inserire particolari virus nel sistema penale: il problema è che se continuiamo ad accettare che dinanzi a particolari fenomeni o reati si facciano degli strappi ai principi, si rischia che questo virus si estenda indistintamente a tutti i reati, come avvenuto con lo spazzacorrotti.
I principi vanno salvaguardati, sempre». Il professore Davide Galliani dell’Università degli Studi di Milano ha evidenziato che «la sentenza Viola è chiara per la violazione della dignità umana, usando argomenti del tutto ragionevoli ed equilibrati».
Il convegno si è concluso con una interessante relazione tecnica del professor Pasquale Bronzo, dell’Università Sapienza di Roma.
Prossimo appuntamento il 22 ottobre quando la Corte Costituzionale valuterà la legittimità del 4bis laddove esclude che chi è condannato all’ergastolo “per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c. p., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla fruizione di un permesso premio”.