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Fino a una settimana fa, nonostante la sentenza Cedu era stata emessa da qualche mese, nessun giornale – tranne Il Dubbio, il Manifesto e Il Foglio – ha parlato dell’ergastolo ostativo. In realtà, ora che se ne parla, le argomentazioni sono inesatte, confuse e rabbiose. Il tema dell’ergastolo ostativo è stato posto per anni, da diversi giuristi, militanti di associazioni, ergastolani ostativi stessi che hanno preso coscienza attraverso strumenti non violenti e anche di riconciliazione, di percorsi umani e di un ravvedimento che però non possono essere valutati dai magistrati di sorveglianza.
Questo, d’altronde, è ciò che censurano i giudici di Strasburgo. Parliamo di detenuti che hanno commesso crimini legati alla mafia, già in giovane età. Ci sono ergastolani ostativi che hanno varcato il carcere a 18, 20 anni, e tuttora sono ancora dentro. Molti di loro ci moriranno, anche di malattie che inevitabilmente si acutizzano tra le quattro mura. L’ergastolo ostativo è, di fatto, una pena senza fine e senza speranza di una fine. Non a caso Marco Pannella utilizzò il termine ' Spes contra spem”, prendendo laicamente spunto dall'apostolo Paolo, che fu carcerato e insegnava che “è spesso contro la speranza che bisogna sperare”.
Da quattro anni c’è l’associazione Nessuno tocchi Caino del Partito Radicale che ha dato il via ai laboratori “spes contra spem” in alcune carceri italiane per estendere la consapevolezza del valore del mutamento oltre che ad elevare la coscienza di chi vi partecipa. E a partecipare ci sono anche diversi ergastolani ostativi. Persone, recluse da decenni, che per la prima volta vengono messe a confronto tra di loro, con la possibilità di parlare, esprimere le loro idee e raggiungere la consapevolezza dei loro sbagli.
Chi ha la fortuna di parteciparvi, ne esce inevitabilmente arricchito. A dirigere i laboratori è soprattutto Sergio D’Elia, il coordinatore dell’associazione Nessuno tocchi Caino. Un uomo che è l’esempio vivente di come si possa passare dalla violenza ( nel suo caso ideologica) alla non violenza, attraverso lo strumento del Diritto. D’altronde lo stesso Nessuno tocchi Caino è un macro laboratorio dove persone che hanno avuti trascorsi diversi, anche ideologicamente contrapposti, convivono e lottano per i principi umanitari.
C’è, come detto, Sergio D’Elia, il quale ha un passato di sinistra extraparlamentare, ma anche Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, provenienti dall’organizzazione dell’estrema destra Nar. Nel direttivo ci sono anche ben sette ergastolani ostativi, i protagonisti del docufilm – duro e bellissimo – ' Spes contra spem” di Ambrogio Crespi. Un film che era stato presentato al Festival del Cinema di Venezia e alla Festa del Cinema di Roma, alla presenza dell’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando e del sottosegretario Gennaro Migliore. In quel film sono loro, i carcerati, i ' senza speranza' a raccontarsi. Così come, appunto, si raccontano nei laboratori “spes contra spem”.
Tante le parole che dicono, tutte incentrate sulla speranza. C’è l’avvocata e militante radicale Simona Giannetti, la quale partecipa spesso in questi laboratori, specificatamente al carcere milanese di Opera. «Il senso che noi riusciamo a trasmettere gli ergastolani è il bisogno di aspirare a un cambiamento essendo essi stessi parte attiva in questa speranza – spiega Giannetti-, e quindi ogni giorno lavorare per un cambiamento che passa dalla violenza alla non violenza». Quello che emerge in tutta chiarezza è che le persone che partecipano al laboratorio, sono diverse a quelle che erano vent’anni fa. Uno di questi si chiama Roberto, portato in una scuola per raccontare agli studenti la sua vita.
«Ha raccontato che quando aveva vent’anni – dice sempre l’avvocata Giannetti –, gli hanno ucciso il padre e questo atto di violenza subito lo ha fatto entrare in una cosca mafiosa per vendicarsi e ci riuscì, uccidendo persone delle cosche rivali». Ma in tutti questi anni ha fatto un percorso, e ha raccontato agli studenti che «la violenza non è la soluzione, se non l’avessi usata io non avrei perso la mia vita e così anche mia figlia che non mi chiama più “papà” e non mi ha mai più voluto vedere».
Non è una passeggiata partecipare ai laboratori, alcuni ergastolani sono depressi, altri scoraggiati, alcuni bofonchiano, ma c’è Sergio D’Elia che riesce ad entrare in empatia con loro, guardandoli diritti negli occhi riuscendogli ad infondere speranza. Lui, per loro, è la prova del cambiamento. Ma l’associazione Nessuno tocchi Caino è riuscita a compiere un salto di qualità in termine di battaglia del Diritto. È riuscita a coinvolgere 252 ergastolani ostativi per compiere una class action contro il fine pena mai direttamente al comitato di diritti umani dell’Onu. Il quale, recentemente, ha dato risposta positiva, accogliendo il ricorso. Quindi anche l’Onu potrà valutare, per la prima volta in assoluto, se il cosiddetto ergastolo ostativo rispetta i diritti umani.
La sua eventuale sentenza, come ha già fatto con il 41 bis, non sarà vincolante dal punto di vista giuridico, ma sarà utile per gli stessi giudici che potranno utilizzarla per motivare eventuali decisioni. I 252 ergastolani che hanno fatto ricorso, sono tutte persone che hanno intrapreso un percorso trattamentale, preso le distanze dalla mafia e quindi hanno una visione critica con il passato. Ma, non essendo dei collaboratori della giustizia, sono costretti a rimanere a vita nel carcere. Una visione non contemplata dalla nostra Costituzione. Ed è proprio su questo che i giudici della Consulta dovranno esprimersi.