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messa alla prova corte costituzionale
L’ergastolo ostativo è incostituzionale, ma ci dovrà pensare il Parlamento a varare una legge. La Corte costituzionale non decide sulle questioni di legittimità sollevate dalla Cassazione in merito all’ergastolo ostativo, in particolare a chi chiede l’accesso alla liberazione condizionale senza aver collaborato con la giustizia. A differenza della sentenza del 2019 che ha dichiarato incostituzionale la preclusione assoluta del permesso premio a chi non collabora, questa volta i giudici delle leggi hanno preferito attendere un intervento legislativo nel merito. Per la Consulta la disciplina ostativa è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Cedu Nel contempo, però, la Corte ha osservato che tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tuttavia, sottolinea la Consulta, «l’accoglimento immediato delle questioni rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata». Quindi, nonostante che le questioni sollevate trovino accoglimento, la Corte preferisce rinviare la trattazione a maggio 2022 per consentire al legislatore «gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi». Quello che appare, a differenza della decisione di un anno e mezzo fa, è la prevalenza della ragione politica sulla ragione giuridica. Dopo due settimane di attesa, alla fine la Consulta ha preferito dare un altro anno di tempo al Parlamento. Eppure, ricordiamo, c’è stata già una chiara condanna di quasi due anni fa da parte della Cedu proprio sulla preclusione assoluta della libertà condizionale per chi non collabora con la giustizia. Ma il Parlamento ha preferito non assumersi la responsabilità per adeguare la legge secondo l’indicazione dettata della Corte europea. L'ergastolo ostativo impedisce di beneficiare della liberazione condizionale a meno che non si collabori Ricordiamo di cosa si tratta. L’ergastolo ostativo, di cui all’art. 4 bis ordinamento penitenziario, impedisce al condannato in via definitiva per reati particolarmente gravi (tra i quali associazione mafiosa) di beneficiare della liberazione condizionale e degli altri istituti “premiali” penitenziari e delle misure alternative alla detenzione, a meno che lo stesso – oltre ad avere buona condotta, partecipare a programmi di reinserimento, dare prova di resipiscenza – non collabori per prevenire la commissione di ulteriori reati ovvero facilitare l’accertamento e la identificazione degli autori di quelli già commessi, salvo che tale collaborazione non sia impossibile o inesigibile. La Corte Europea dei diritti dell’uomo si è occupata della tematica dell’ergastolo ostativo in riferimento al caso Viola contro Italia. Marcello Viola è stato un boss di ‘ndrangheta condannato all’ergastolo ostativo fin dagli anni 2000 che aveva presentato al Tribunale di sorveglianza, almeno in due occasioni la concessione di permessi premio, entrambi rigettati per la mancanza del requisito della collaborazione. Nel marzo 2015 il ricorrente chiedeva la concessione della liberazione condizionale, che veniva rigettata sia dal Tribunale di Sorveglianza che dalla Corte di Cassazione perché, secondo il Tribunale, la condizione specifica della cessazione dei vincoli con l’organizzazione di appartenenza si doveva necessariamente esprimere attraverso una attività di collaborazione con la giustizia; in particolare, la sentenza della Suprema Corte evidenziava l’irrilevanza della dichiarazione di innocenza del ricorrente, che avrebbe potuto essere valutata solo in sede di revisione. Nei sei mesi dal rigetto della condizionale, Viola ha proposto ricorso alla Corte europea lamentando plurime violazioni: violazione dell’art. 3 della Convenzione, in quanto l’ergastolo ostativo sarebbe pena non comprimibile, con violazione del principio di proporzionalità e del principio di reinserimento sociale; violazione dell’art. 3 della Convenzione sotto il profilo procedurale in quanto la sola dichiarazione di inammissibilità dell’istanza ha impedito una vera valutazione del merito della stessa e per il mancato accesso a generiche “risultanze istruttorie” alle quali le pronunce interne avevano fatto riferimento; violazione dell’art. 5 par. 4 della Convenzione perché l’ordinamento interno non garantirebbe il ricorso finalizzato alla verifica delle condizioni procedurali e sostanziali di legittimità della misura restrittiva; violazione dell’art. 6 par. 2 in materia di presunzione di innocenza e del principio del nemo tenetur se detegere anche in fase esecutiva; violazione dell’art. 8 intesa come coercizione alla collaborazione di chi si proclama innocente, con esposizione a grave rischio del ricorrente e dei propri familiari. Per la Cedu serve una riforma dell’ergastolo La Corte Europea, esaminando la richiesta solo sotto l’aspetto dell’art 3, con sentenza del 13 giugno 2019 ha condannato l’Italia, specificando che l’ergastolo ostativo limita la prospettiva di un mutamento futuro dell’interessato e la possibilità di revisione della pena, in violazione dell’art. 3 Cedu: «La Corte considera che la pena perpetua alla quale è soggetto il ricorrente, in virtù dell’art. 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario, ossia il cd. “ergastolo ostativo”, limita eccessivamente la prospettiva di rilascio dell’interessato e la possibilità di riesame della pena. Pertanto, questa pena perpetua non può essere qualificata come comprimibile ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. La Corte rigetta in tal modo l’eccezione del governo, riguardante la qualificazione di vittima del ricorrente e conclude che in questo ambito le esigenze dell’articolo 3 della Convenzione non sono state rispettate». Ed ancora: «La natura della violazione accertata ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione impone allo Stato di attuare, di preferenza per iniziativa legislativa, una riforma del regime della reclusione dell’ergastolo, che garantisca la possibilità di riesame della pena; cosa che permetterebbe alle autorità di determinare se, nel corso dell’esecuzione della pena, vi è stata una evoluzione del detenuto e se è progredito nel percorso di cambiamento, al punto che nessun motivo legittimo di ordine penologico giustifichi più la detenzione. Inoltre, la riforma deve garantire la possibilità per il condannato di beneficiare del diritto di sapere cosa deve fare perché la sua liberazione sia possibile e quali siano le condizioni applicabili. La Corte, pur ammettendo che lo Stato possa pretendere la dimostrazione della “dissociazione” dall’ambiente mafioso, considera che questa rottura possa esprimersi con strumenti diversi dalla collaborazione con la giustizia e dall’automatismo legislativo attualmente in vigore».Nonostante la condanna della Corte Europea sulla preclusione della libertà condizionale e la successiva sentenza della Consulta sul solo permesso premio, il Parlamento ha preferito non adeguarsi al dettato di diritto internazionale. Ricordiamo che i giudici delle leggi avrebbero dovuto trattare la questione di illegittimità costituzionale sollevata dalla Cassazione per la libertà condizionale dell’ergastolano ostativo Francesco Pezzino. Ora se ne parla a maggio del 2022, in attesa che il Parlamento intervenga con una legge. Quindi, tra la condanna della Cedu e la trattazione della questione rinviata a maggio dell’anno prossimo, c’è il rischio che passino tre anni di limbo giuridico.