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Concesso a un ergastolano ostativo un permesso di un giorno e 12 ore per Natale e Santo Stefano. Parliamo di uno dei primi permessi premi ottenuti – grazie all’istanza presentata dal suo avvocato difensore Simona Giannetti - a pochi giorni dalla riforma dell’ergastolo ostativo approvata dal Parlamento. Riforma che, per quanto riguarda questo beneficio penitenziario, ha recepito integralmente le indicazioni del 2019 della Corte costituzionale.
Il provvedimento emanato dal Tribunale di Sorveglianza di Milano, ha riconosciuto - dietro osservazione della difesa -, che deve ritenersi ammissibile e valida nel merito, la valutazione e concessione del primo permesso premio concesso ad aprile scorso - di cui Il Dubbio ha già parlato - in quanto sono rimaste invariate le condizioni che avevano giustificato la prima ordinanza di concessione. Il tribunale ha anche preso in considerazione il fatto che l’ergastolano, da allora, ha beneficiato di permessi successivi i quali hanno dimostrato la regolare e congrua condotta.
Nelle sue osservazioni al Tribunale nel corso dell'udienza, l’avvocata Giannetti ha rappresentato che i presupposti, indicati dalla sentenza costituzionale con riguardo agli accertamenti sui collegamenti e con riferimento alla revisione critica da parte del detenuto circa le precedenti condotte anche in relazione a quanto fatto in carcere negli ultimi 25 anni e alle azioni di volontariato realizzate, sono da considerare i medesimi richiesti dalla riforma ora in vigore e che il percorso avviato dal detenuto in questi mesi non potesse che proseguire in ragione di una valutazione ammissibile secondo la pronuncia della Consulta e nel merito secondo gli accertamenti di allora posti in essere dall'istruttoria del solo magistrato, allora competente come monocratico.
Il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha quindi ritenuto di valutare come i presupposti dell'ordinanza di concessione del beneficio del magistrato di sorveglianza ad aprile, dovessero essere confermati anche oggi, 8 mesi dopo e con la nuova riforma, perché oggetto di un accertamento che può considerarsi quello che già in linea di massima aveva previsto la Consulta con la sentenza del 2019 e che oggi il Tribunale di Sorveglianza ritiene sovrapponibile alla nuova legge. Ma soprattutto anche al fine di non interrompere il percorso già avviato dal detenuto con i permessi pregressi e dare seguito al diritto alla progressione della rieducazione. Ed è quello che prevede la finalità della pena ben cristallizzata nell’articolo 27 della nostra costituzione italiana. S.V., classe 1960, è detenuto fin dal lontano 1996 e diventato definitivo a seguito delle condanne per omicidio e associazione a delinquere finalizzato allo spaccio di stupefacenti.
Come già raccontato da Il Dubbio, la prima istanza per il permesso premio, a differenza delle volte scorse, è stata ritenuta ammissibile alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 253/ 2019 per effetto della quale è venuta meno la presunzione assoluta di pericolosità che impediva l’accesso ai benefici penitenziari per i condannati non collaboranti, e in particolare al permesso premio. Sotto il profilo dell’articolo 4 bis comma 1 dell’ordinamento penitenziario, secondo cui i benefici penitenziari e le misure in esso contemplate possono essere concessi solo a condizione che il detenuto collabori con la giustizia, questa volta la norma è stata letta nel quadro della sentenza della Corte costituzionale n 253 del 2019 ( intervenuta nel solco della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la sentenza Viola) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del 4 bis nella parte in cui non prevede che, a una certa tipologia di reati, non solo quelli mafiosi, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia, allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti. Norma che, per quanto riguarda il permesso premio (per la liberazione condizionale, l’approccio è diverso), è stata recepita dalla riforma da poco in vigore.
Questa concessione è importante per diversi aspetti. Il primo è che gli ergastolani ostativi sono oltre i mille, tra loro ci sono pochissimi boss stragisti (cavallo di battaglia per chi stigmatizzava le sentenze della Cedu e della Consulta) e difficilmente potranno ottenere dei permessi. Ci hanno già provato i fratelli Graviano, non riuscendoci nonostante che sia venuta la presunzione assoluta di pericolosità che impedisce l’accesso ai benefici penitenziari per il condannato non collaborante. Nella realtà, la stragrande maggioranza degli ergastolani ostativi non sono i capi dei capi. Pensiamo a S.V.,colui che ha ottenuto il permesso premio per Natale: tutte le autorità interpellate per la prima concessione del permesso premio non hanno evidenziato elementi concreti indicativi che indichino l’attualità della persistenza di collegamenti del detenuto con la criminalità organizzata o della concreta possibilità di un loro ripristino. Le autorità interpellate, si sono soltanto limitate a motivare l’attualità della pericolosità dell’ergastolano S. V. sulla sola base della gravità dei reati commessi negli anni 90.
Non solo. Dalla prima istanza del difensore, emerge che nei colloqui con gli esperti, il detenuto ha ammesso la sua responsabilità in ordine ai fatti a lui contestati. Ha sottolineato di essersi allontanato da qualunque contesto criminale, di aver aderito alle attività trattamentali a lui offerte, di prestare attività lavorativa presso il Laboratorio delle ostie. Ha allegato documentazione attestante la partecipazione al percorso di giustizia riparativa, il titolo di studio conseguito, l’attestato di competenza in educazione artistica, la lettera di referenza inviata il 15 dicembre del 2021 della presidente Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti. In tale missiva la presidente ha riferito dell’impegno di S. V. nel laboratorio al punto da essere divenuto così rilevante da assumere il ruolo di insegnante della competenza di realizzare ostie in tutto il mondo. Non solo. S. V., a seguito del provvedimento di declassificazione occorso nel 2014, si trova oggi sottoposto al regime dei detenuti comuni. Ciò significa che si sia già ritenuta scemata, dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziario stesso, la sua pericolosità sociale. Se fosse passata la linea intransigente di taluni presunti progressisti, a partire dai grillini, persone come S. V. sarebbero rimaste tumulate in carcere senza la speranza di poter uscire, una volta l’anno, almeno per poche ore.