«Si fa strada un’altra idea di mercato. Quella secondo cui conta solo abbattere i costi delle prestazioni professionali e del lavoro è una visione alla quale non credono ormai neppure i mercatisti più incalliti». Gennaro Migliore, sottosegretario alla Giustizia, è reduce dallo sprint con cui, con la sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi, è riuscito a chiudere la partita sull’equo compenso per gli avvocati. Un’accelerazione che porta a compimento il lavoro e l’impegno assunto dal guardasigilli Andrea Orlando. Lo stesso premier Paolo Gentiloni ha avuto un ruolo di peso nella decisione di calendarizzare per la prossima settimana il ddl sulla professione forense.

Il guardasigilli ha messo a punto un articolato in cui si prevede la nullità della convenzione predisposta da un committente forte e stipulata con il professionista, qualora il patto contenga clausole vessatorie nei confronti di quest’ultimo e la previsione di un compenso che non sia «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto» e «alle caratteristiche della prestazione legale». Con il lavoro delle ultime ore condotto a Palazzo Chigi si è precisato che, oltre a banche e assicurazioni, le nuove norme sull’equo compenso valgono nei rapporti tra avvocati e imprese diverse da quelle “micro”, piccole e medie, come definite sulla base dei parametri europei. «Si tratta in ogni caso di una svolta non solo in termini di protezione del reddito ma anche culturale», ribadisce Migliore.

Anche lei assegna al ddl sull’equo compenso il valore di un cambio di prospettiva.

Prende atto di un dato emerso con chiarezza ormai: va superata la logica della concorrenza al ribasso come unico principio regolatore. Lo insegna anche quanto avviene con le gare d’appalto: la strada del massimo ribasso non porta da nessuna parte. Nel caso degli avvocati, si finisce per pregiudicare la qualità delle prestazioni. E credo sia evidente come ridurre gli onorari dei professionisti o del costo del lavoro non abbia portato valore aggiunto alle imprese. L’idea di concorrenza a cui dobbiamo guardare dev’essere un’altra.

A cosa si riferisce?

A una sfida verso l’alto, verso la qualità, che deve essere generale e fare del nostro sistema Paese un modello d’avanguardia.

Si riferisce a questo quando parla di svolta culturale?

Mi riferisco a un nuovo modello non solo in termini economici: il contraente forte non può basarsi solo sulla propria esigenza di contenimento dei costi e ridurre la qualità di un lavoro tanto delicato qual è quello degli avvocati. Non si tratta solo di evitare l’impoverimento del mondo professionale, ne va dell’equilibrio del sistema.

Certo fa pensare che un tempo si assicuravano tutele agli operai e oggi lo si fa, doverosamente, per le libere professioni.

Ci sono oggi lavoratori dipendenti che hanno garanzie e protezione assai più efficaci rispetto a giovani che esercitano le cosiddette professioni liberali. Un tempo si riteneva che quest’ultimo campo fosse, per così dire, autoimmune dal rischio della precarietà. E forse era vero. Ma oggi si viaggia verso i 260mila iscritti agli Ordini forensi, cinque volte rispetto a quanti erano fino a non molti anni fa. A questo si aggiunga il restringimento delle occasioni di lavoro nel campo della pubblica amministrazione per chi possiede formazione e competenze giuridiche.

Ma naturalmente non possiamo limitare l’analisi all’aspetto economico.

C’è di mezzo il valore della funzione difensiva.

Quella dell’avvocato non è una professione come un’altra: è finalizzata alla tutela di un diritto sancito alla Costituzione, il diritto alla difesa e alla tutela degli interessi. È un’attività che ha un grande rilievo sociale. E il fatto che possano trovarsi clausole vessatorie dovute ad atteggiamenti non proprio corretti dei committenti cosiddetti forti, oltre ad essere una mortificazione dei professionisti, conduce anche a un abbassamento della tutela dei diritti collettivi.

Il presidente del Cnf Andrea Mascherin dice: arriva un segnale importante dalla politica ma sul ddl sull’equo compenso ci saranno resistenze.

Io sono molto contento del fatto che, dopo l’impegno del ministro Orlando che aveva predisposto questo ddl, ci sia stato da parte del premier Gentiloni e della sottosegretaria alla Presidenza Boschi un accoglimento delle istanze rappresentate da Mascherin in diversi incontri con i vertici dell’esecutivo. Aggiungo: sono certo che in Parlamento troveremo ampia convergenza.

Al punto da riuscire ad arrivare all’approvazione definitiva?

Credo proprio di sì. Non vedo come una legge del genere possa essere contestata dalle forze politiche. Si tratta di tutelare una condizione di svantaggio di chi dovrebbe assicurare l’esercizio di un diritto costituzionale. L’equo compenso è un passo avanti in questa direzione, e la stessa coesione registrata nel governo potrà favorire una veloce approvazione in Parlamento.

C’è il rischio che arrivino obiezioni dall’Unione europea in nome della sacra e inviolabile libera concorrenza?

Punto primo: la percezione che credo si diffonda ovunque è diversa da quella che fece apparire, per esempio, le liberalizzazioni di Bersani come una svolta capace di produrre anche grande consenso elettorale. Intendiamoci: quelle misure introducevano e avviavano anche processi positivi, ma hanno portato effetti collaterali come la subordinazione degli avvocati ai committenti forti.

E queste riflessioni vengono fatte anche a livello europeo?

Con il ddl sull’equo compenso non si introduce una riduzione della concorrenza ma, a ben guardare, l’esatto contrario: si impedisce il ricorso a clausole vessatorie che sono imposte da soggetti avvantaggiati da una posizione di semimonopolio. Una condizione che finora ha consentito a tali committenti di dire all’avvocato: tu o lavori con me o non lavori e il prezzo lo faccio io. Quale sarebbe qui il regime di concorrenza che andremmo a limitare? Io mi aspetterei piuttosto un intervento di Bruxelles su una vicenda come quella di Fincantieri piuttosto che per impedire la difesa di soggetti che rischiano di diventare deboli e che pure sarebbero chiamati a tutelare dei diritti. Ma c’è un secondo punto che terrei a segnalare e che credo ci metta al riparo da sorprese in Parlamento.

Ovvero?

Al fatto che, a mio giudizio, quello attuale può essere definito a pieno titolo un Parlamento dei diritti. Penso a provvedimenti come quello sulle unioni civili, alle misure in favore dei diritti dei consumatori e di contrasto ai fenomeni corruttivi. Ed è evidente come in diversi casi l’iniziativa sia partita dal ministero della Giustizia. Le stese unioni civili sono state predisposte a via Arenula, e di recente un altro esempio è arrivato con la riforma dell’ordinamento penitenziario, che pure ha una straordinaria importanza per l’affermazione di una cultura dei diritti. Vorrei aggiungere anche lo stalcio delle norme sui Tribunali dei minori dal ddl sul processo civile, che credo sia un segno di ascolto verso tanti che vogliono la riforma ma ci chiedono di definirla con maggiore attenzione. Così come il ddl sul diritto fallimentare, una risposta, voluta già dal governo precedente all’attuale, a esigenze di riforma altrettanto diffuse. Anche sull’equo compenso mi permetto di dirmi ottimista: so che non è di moda esserlo ma non credo di commette un peccato.