Un altro nome si aggiunge alla tragica lista dei detenuti che si sono tolti la vita nelle carceri italiane quest'anno. Nelle prime ore di mercoledì mattina, un uomo di 44 anni è stato trovato senza vita nella sua cella nel carcere di San Vittore a Milano. Si è strozzato con i lacci delle scarpe, diventando la 75esima vittima di suicidio dall'inizio dell'anno nel sistema penitenziario italiano.

La notizia, riportata da Gennarino De Fazio, Segretario Generale della UilPa Polizia penitenziaria, getta nuovamente luce sulla drammatica situazione delle nostre carceri. «Una strage continua che non trova alcun argine dal governo», denuncia De Fazio, evidenziando come il numero di suicidi abbia già superato quello dell'intero 2022, anno che aveva segnato un triste record. Il caso di San Vittore è emblematico delle criticità che affliggono il sistema carcerario nazionale. Con oltre 1000 detenuti a fronte di soli 447 posti disponibili, l'istituto milanese registra un tasso di sovraffollamento del 229%. Una situazione esplosiva, aggravata dalla carenza di personale: gli agenti di polizia penitenziaria sono 580, ben al di sotto del fabbisogno stimato di 700 unità.

Ma il dramma dei suicidi in carcere è solo la punta dell'iceberg di una crisi più profonda, che affonda le sue radici nel disagio psichico diffuso tra la popolazione detenuta. Il recente rapporto dell'associazione Antigone getta luce su questo fenomeno allarmante, rivelando che il 12% dei detenuti (circa 6.000 persone) soffre di una diagnosi psichiatrica grave. «Il carcere sta diventando un manicomio», confida un ispettore di polizia penitenziaria agli osservatori di Antigone. Una percezione condivisa da molti operatori del settore, che denunciano un aumento esponenziale delle patologie psichiche tra i detenuti, a fronte di risorse e strumenti sempre più inadeguati per affrontare il problema.

La chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari nel 2017 ha privato il sistema di una «valvola di sfogo» per i casi più complessi, costringendo le carceri a farsi carico di situazioni spesso ingestibili. Le Articolazioni per la Tutela della Salute Mentale (Atsm), istituite per colmare questo vuoto, offrono solo 300 posti in tutta Italia, un numero del tutto insufficiente rispetto alle reali necessità. Il risultato è una vera e propria «psichiatrizzazione» degli istituti penitenziari, dove il ricorso massiccio agli psicofarmaci diventa spesso l'unica risposta possibile. I dati sono allarmanti: il 20% dei detenuti (oltre 15.000 persone) fa uso regolare di stabilizzanti dell'umore, antipsicotici e antidepressivi, mentre il 40% (30.000 detenuti) assume sedativi o ipnotici.

«Il carcere è tossico, nuoce alla salute, soprattutto quella mentale», sottolinea Michele Miravalle, ricercatore di Antigone, riprendendo le riflessioni del criminologo Vincenzo Ruggiero sul carcere come “fabbrica di handicap”. Un circolo vizioso in cui il disagio psichico preesistente viene esacerbato dalle condizioni detentive, generando nuove patologie e aggravando quelle già presenti. La situazione è particolarmente critica per le donne detenute: il 12,4% di loro soffre di diagnosi psichiatriche gravi, contro il 9,2% degli uomini. Ancora più allarmante è il dato sull'uso di psicofarmaci, che coinvolge il 63,8% delle detenute. Di fronte a questi numeri, le risorse appaiono del tutto inadeguate. In media, sono disponibili solo 9,14 ore di servizio psichiatrico e 19,8 ore di supporto psicologico ogni 100 detenuti. Un rapporto che rende praticamente impossibile un intervento efficace e tempestivo sui casi più critici.

La tragedia di San Vittore cristallizza l'urgenza di un intervento radicale nel sistema carcerario italiano, ormai da tempo al collasso. Le promesse del governo Meloni si sono rivelate inutili di fronte alla realtà di strutture fatiscenti e sovraffollate. Come denunciato da De Fazio, la situazione è addirittura peggiorata. Di fronte a questa emergenza, è improrogabile rivalutare proposte come quella di legge sulla liberazione anticipata speciale, presentata da Roberto Giachetti di Italia Viva e Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino, che potrebbe rappresentare una svolta nel trattamento dei detenuti e contribuire a decongestionare le carceri.