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procura di Taranto
La soluzione c’è e si regge su un filo sottilissimo, intessuto con accorgimenti tecnici e con una particolare cura nel modello di comunicazione. Oggi finalmente arriva in Consiglio dei Ministri il restyling della riforma del processo penale con gli emendamenti elaborati dalla commissione Lattanzi e definiti da Marta Cartabia. Nessun passaggio dunque ieri per la cabina di regia governativa: si è continuato a trattare informalmente con i partiti per sciogliere gli ultimi nodi. L’equilibrio si regge sull’opera di ingegneria normativa messa in atto dai professori soprattutto in tema di prescrizione, per raggiungere un risultato che da un lato riporti nell’alveo costituzionale la durata del processo, ma che, allo stesso tempo, possa permettere alle forze di maggioranza di rivendicare una parte dell’obiettivo riformatore. Da qui anche la scelta della ministra di preferire il termine ‘improcedibilità’ a quello di ‘prescrizione’, che poi rappresenta l’ipotesi B della commissione su cui si sarebbe raggiunta la sintesi. In pratica la prescrizione si blocca dopo il primo grado, come da riforma Bonafede, ma poi subentra l’improcedibilità dell’azione penale. Si avranno due anni di tempo per il processo di appello, un anno per quello in Cassazione. Se i giudici non rispetteranno questi termini il processo stesso decadrà, ovviamente per l’assolto in primo grado ma anche per il condannato. Ed è questa la novità, che potrebbe essere difficile da far digerire al Movimento 5 Stelle ma su cui punterebbe la guardasigilli per non andare in conflitto con i principi di uguaglianza e di presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva. Tuttavia su questo si continuerà a trattare, fanno sapere da Leu, per trovare una formula di maggiore gradualità nel caso della sentenza di condanna. Dunque questa sintesi accontenterebbe un po’ tutti: l’ex ministro Bonafede il cui totem in parte resta, il Pd che pure aveva proposto la prescrizione processuale un po’ semplificata, Leu che si era mosso più o meno allo stesso modo già dal 2019, Forza Italia che si era opposta all’ipotesi dello sconto di pena come sostituto dell’improcedibilità, la Lega favorevole alla necessità di ridurre drasticamente i tempi del processo penale ma non le garanzie - come aveva detto Giulia Bongiorno dopo aver incontrato la Cartabia - , Italia viva che si era opposta alla discriminazione tra assolti e condannati dopo il primo grado. Soddisfatto anche l’onorevole di Azione Enrico Costa: «Gli emendamenti del governo alla riforma del processo, ne siamo certi, andranno nella direzione da noi auspicata del rispetto dei principi costituzionali, della presunzione di innocenza, del diritto alla difesa, della ragionevole durata del processo e della certezza della pena». Secondo il sottosegretario Francesco Paolo Sisto «la commissione Lattanzi ha lavorato bene in stretta aderenza ai principi costituzionali. Poi spetterà al Parlamento dire la sua». Dietro le parole del sottosegretario probabilmente si cela il detto "non dire gatto se non ce l’hai nel sacco": infatti a poche ore dal Cdm c’è comunque chi teme che la pattuglia pentastellata faccia saltare il banco, considerate le indiscrezioni che hanno fatto circolare - «i tempi non sono maturi, una posizione non c’è ancora, si sta accelerando troppo». E i nodi da sciogliere non sono pochi: sicuramente quello dell’appello che aveva messo in allarme sia l’accusa che la difesa, considerato che nella proposta originaria della commissione Lattanzi si voleva impedire al pubblico ministero di appellare le sentenze di assoluzione e si voleva trasformare il secondo grado in un giudizio a critica vincolata, svuotandolo della valutazione di merito. Adesso sembrerebbe invece che il pm potrà continuare a presentare appello, anche se con dei paletti, e altrettanto potrà fare il difensore per conto del proprio assistito. Una scelta di buon senso per evitare il fuoco incrociato di magistratura e avvocatura. Un’altra questione che aveva agitato il dibattito era stata quella del temperamento dell’obbligatorietà dell’azione penale. Inizialmente era previsto che fosse il Parlamento a determinare periodicamente, anche sulla base di una relazione presentata dal Consiglio Superiore della Magistratura, i criteri generali dell’esercizio dell’azione penale. Adesso si va verso un Parlamento che darà solo un’indicazione di massima, dei criteri indicativi molto generici, ma poi saranno le procure a fissare le vere priorità dell’esercizio dell’azione penale, in base alle esigenze del singolo territorio. Su questo aveva presentato delle perplessità proprio al nostro giornale il costituzionalista Cesare Mirabelli: «Non ci può essere neanche una diversità di criteri per i diversi territori. Di fatto alcuni reati verrebbero perseguiti o meno a seconda del luogo dove sono stati commessi e sarebbe leso il principio di eguaglianza».