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Ma allora in nome di chi, con quale obiettivo, si è mosso Gianpaolo Scafarto, il capitano oggi maggiore dei carabinieri che avrebbe manipolato gli atti per incastrare Tiziano Renzi? L’intervista al militare del Noe pubblicata da Annalisa Chirico sul Foglio di ieri, rafforza l’impressione acquisita già un anno fa, dopo che la Procura di Roma fece emergere le prime anomalie dell’ormai celebre informativa su Consip, predisposta proprio da Scafarto. Già allora si era avuto il sentore di un’alacrità non del tutto riconducibile alle sollecitazioni dei pm napoletani inizialmente titolari dell’indagine, Woodcock e Carrano. Si era intuito come la mobilitazione di quel reparto potesse essere ricondotta a tensioni tutte interne all’Arma, e che quasi i bersagli grossi, Tiziano Renzi ma anche Matteo, fossero semplicemente finiti sulla traiettoria che puntava ad altri obiettivi, posti ai vertici dell’Arma stessa. Adesso, a leggere Scafarto e le sue rimostranze su Woodcock che «non sento da un anno», si rafforza l’idea di quella divaricazione: da una parte i carabinieri, dall’altra la Procura di Napoli. Sia chiaro: lo stesso maggiore, appena reintegrato in servizio dal Riesame e subito intercettato da Annalisa Chirico, in attesa che la Cassazione decida sul ricorso dei pm romani, ricorda che l’informativa gli era stata commissionata proprio da Woodcock. E che però neppure quest’ultimo si fosse accorto della sua presunta, più grave manipolazione ( Al- Romeo che dice di aver incontrato Renzi laddove nel nastro originario è Italo Bocchino a parlare). «Mi sono rotto le palle di questi pm che ti scaricano tutto addosso». Cioè anche di Woodcock, che pure in questa telenovela è spesso passato per un magistrato inquirente legato al Noe da un rapporto di collaborazione troppo esclusivo.
Sono segnali: possono spiegarsi col fatto che, come ricorda la giornalista del Foglio, l’accusa di falso è stata archiviata per Woodcock ed è invece tutt’ora in piedi sia per Scafarto che per il suo vicecomandante Alessandro Sessa. Eppure resta l’impressione di una diversità di obiettivi esistita fin dall’inizio: i carabinieri determinati nello svelare presunte refredo sponsabilità dei loro vertici, i pm napoletani concentrati su quelli che per i militari costituivano solo passaggi intermedi, ovvero i politici.
A chiarire l’intrigo sarà l’indagine del procuratore Giuseppe Pignatone e dei pm Paolo Ielo e Mario Palazzi. O meglio, dovranno farlo il processo e i giudici che in quel processo valuteranno le accuse avanzate sulla base dell’indagine. Ma dalla lunga e straordinaria conversazione di Scafarto col Foglio si traggono conferme su ben altro. Su dati di fatto gravissimi, sconvolgenti per la giustizia, per le condizioni in cui versa il sistema penale. Non tanto perché non fossero noti, ma perché fa impressione sentirli denunciare proprio da quella polizia giudiziaria che quelle preoccupazioni suscita.
Due aspetti colpiscono: i pm che «ti scaricano tutto addosso», dunque la giustizia che è davvero nelle mani della polizia giudiziaria, non dei magistrati come vorrebbe la Costituzione; e l’allarme lanciato sulle intercettazioni, in particolare sul decreto che ne riforma la disciplina, lo stesso allarme emerso da un convegno delle Camere penali a cui hanno partecipato i capi delle più importanti Procure d’Italia. La frase chiave: «Ho lavorato con pm che ti facevano fare le inchieste intercettive, e io dicevo: dotto’, è meglio che la leggete pure voi. Ma no, siete bravi, rispondevano loro». Confermato il vizio fatale, denunciato dagli avvocati: i pm non sentono i nastri, non verificano il lavoro della polizia, non sapranno mai se sono stati scartati elementi che potevano servire alla difesa, tanto per cominciare. Non tutti i pm fanno così. Ma nel campione acquisito da Scafarto con la sua sola personale esperienza, la percentuale dei pm che lasciano le bobine nelle mani degli ufficiali pare rilevantissima.
E infine: «Se tu confronti un’informativa di polizia giudiziaria con la richiesta di misura di custodia firmata dal pm e con l’ordinanza del gip, ti rendi conto che i testi sono identici per il sessanta per cento. Insomma, si passano i file per fare prima». Lo aveva scritto sul Dubbio Nicola Quatrano, da poco passato dalla magistratura alla professione forense: «Le informative dei carabinieri diventano sentenze di Cassazione». Scafarto lo conferma. Forse è il caso di scagionarlo per il solo fatto di aver compiuto un’operazione verità da brividi, ma che rende, alla giustizia di questo Paese, un servizio assolutamente incalcolabile.