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Marta Cartabia costretta a congelare le proprie riforme dalla crisi grillina
E adesso? Adesso niente giustizia. Niente riforma. Tutti fermi. Con la prescrizione pronta, rivista secondo il “lodo Cartabia”, ma non proponibile. Non lo sarà finché la crisi del Movimento 5 Stelle non potrà dirsi archiviata. Se sarà archiviata. Ecco: se. Una congiunzione ipotetica che fa tremare le vene ai polsi persino di gente tosta come Mario Draghi e Marta Cartabia. Perché sulla carta tutto può risolversi, anche in tempi ragionevoli. Ma in un giorno di fine giugno nulla si può dare per scontato. E in condizioni del genere, mandare avanti dossier spinosissimi come la riforma del penale o il ddl sul Csm sarebbe da temerari. Tanto è vero che gli emendamenti Cartabia sul processo, con dentro la prescrizione, sono congelati. Nel senso che non li si porta in Consiglio dei ministri finché Beppe Grillo non avrà ricostruito le macerie lasciate dallo suo urto devastante.
E il motivo non è difficile da comprendere. Lo spiega un parlamentare del Pd, forza politica direttamente controinteressata alla tellurica del Movimento: «Forzare ora sulla prescrizione e sulla riforma penale sarebbe pericoloso: i pentastellati già sono in uno stato di agitazione e smarrimento assoluti, se poi sul tavolo piovessero pure norme a loro indigeste, ne seguirebbe un’ulteriore deflagrazione. Adesso manca una figura in grado di tenere il Movimento unito. Non c’è chi possa offrire una prospettiva di medio- lungo periodo che renda tollerabili i passaggi critici sulle riforme. Non esiste».
È evidentemente così. Oltretutto, è chiara anche l’impossibilità, per l’esecutivo, di ragionare su una clamorosa amputazione, cioè su un’eventuale alleanza di governo che veda i 5 stelle ai margini. «Impossibile», spiega il parlamentare dem, «si complicherebbe l’intero percorso dell’attuale maggioranza. Sarebbe completamente alterato l’equilibrio da cui è nato l’esecutivo Draghi». Ed è evidente: il Pd a fine luglio.
E chissà se per fine luglio, come pure Cartabia ha assicurato, sarà completa almeno la «parte governativa» della nuova giustizia. In teoria manca poco. Gli emendamenti al ddl penale, come detto, sono pronti. Lo è anche il complicato dispositivo sulla prescrizione. Che fa tesoro della “ipotesi B” avanzata dalla commissione Lattanzi, basata sulla improcedibilità in caso di durata irragionevole e sulla conservazione della legge Bonafede. Soluzione dalla difficile applicazione retroattiva, eppure in grado di ridurre al minimo le intemperanze pentastellate: il blocco alla prescrizione introdotto da Bonafede verrebbe infatti mantenuto, con l’idea di limitare i casi in cui il reato si estingue perché emerso tardi o per la estrema complessità dell’istruttoria ( come è in parte avvenuto per la strage di Viareggio, vicenda a cui l’ex guardasigilli del Movimento ha quasi ispirato la propria modifica). Eppure, tanta premura ora non basterebbe. Anche una versione non può permettersi una vita serena in una maggioranza sbilanciata verso centrodestra. Se il Movimento uscisse dal patto di governo, o ne diventasse una componente instabile e incerta, il partito di Letta si troverebbe ospite in casa d’altri. In casa di Salvini, Berlusconi e Renzi, per intendersi. Un incubo.
Un incubo che magari finirà nel giro di pochi giorni. Ma che intanto gela il sangue anche a Draghi e Cartabia. Inevitabile dunque che la manovra d’emergenza preveda il temporaneo spegnimento della giustizia. Almeno nei suoi versanti più tormentati: la riforma penale con dentro la prescrizione, appunto, e anche la legge delega sul Csm, che pure non ci si può permettere di affossare. Sul punto, la guardasigilli è stata chiara, due giorni fa a Milano, nella prima tappa del suo “Viaggio nella giustizia”: «Non si può eleggere il nuovo Consiglio superiore con la vecchia legge». Lo ha ricordato più volte Sergio Mattarella. Lo sa benissimo la ministra. Ma intanto, il futuro della magistratura è materia troppo sensibile, per i 5 stelle, da poter essere trattata nel pieno dell’eruzione. Se ne parlerà, forse, così scrupolosamente attenta alle ritrosie pentastellate non potrebbe essere presentata in Consiglio dei ministri. Tra le anime più inquiete dell’universo grillino, un pur minimo cedimento sulla prescrizione sarebbe il pretesto decisivo per l’addio. Un quadro drammatico per Grillo, ma anche per il governo Draghi.
Fino a poche ore fa la ministra della Giustizia puntava forte su quella strategia insolita: portare a Palazzo Chiogi il proprio pacchetto di emendamenti al penale. Idea ritenuta utile, dalla guardasigilli e dal premier, a far prevalere l’orientamento condiviso da molti partiti rispetto al no dei soli 5 stelle. Una liturgia efficace in tempi normali ma non adesso.
IN SALVO L’EQUO COMPENSO
Tra le poche materie in grado di minimizzare le tensioni c’è invece il ddl sul processo civile, che nei prossimi giorni potrà avanzare in Senato. Altra eccezione è l’equo compenso per i professionisti, pure incardinato in commissione Giustizia, ma alla Camera. D’altra parte il testo base è in quota opposizione: lo ha depositato la leader di FdI Giorgia Meloni, poi lo si è abbinato con le proposte di Jacopo Morrone (Lega) e Andrea Madelli (FI). Alle 19 di oggi scade il termine per gli emendamenti. «L’equo compenso è un provvedimento doveroso nei confronti di migliaia di professionisti, e di avvocati in particolare, che sono privi di adeguati strumenti di tutela», ricorda Mario Perantoni, deputato 5S che della commissione Giustizia è presidente. «Devo dire che la materia sta a cuore non solo a noi del Movimento ma a tutte le forze politiche, e per questo sono fiducioso sul fatto che entro il mese di luglio possa approdare in aula un testo condiviso». «Grande soddisfazione» anche da parte di Morrone e dalla deputata leghista che fa da relatrice, Ingrid Bisa: «Da tempo lavoriamo su questo tema: un compenso equo rappresenta un diritto per i professionisti, a lungo colpiti da penalizzazioni, a partire dal cosiddetto decreto ‘ Bersani’, con cui, nei fatti, si è provocato lo scardinamento di quel compenso dignitoso che dovrebbe spettare loro». Una pur faticosa agibilità legislativa, nella maggioranza, ora come ora può arrivare sul lavoro autonomo, non certo sulla giustizia.