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Domenica scorsa, all’età di 87 anni, è morto Pietro Giammanco, l’ex Capo della Procura di Palermo dal 1990 al 1992, poi dimessosi e trasferitosi in Corte di Cassazione qualche mese dopo l’uccisione di Paolo Borsellino, quando otto Sostituti Procuratori avevano lanciato un appello minacciando le dimissioni dalla Procura se lui non se ne fosse andato, oltre a chiedere misure di sicurezza eccezionali per prevenire nuove stragi. Al suo posto - il 15 gennaio del 1993 - fu nominato Giancarlo Caselli, che si insediò proprio nel giorno in cui venne catturato Riina grazie ai ROS capitanati dal generale Mario Mori.
Il biennio della sua dirigenza era un periodo caldissimo. Stragi, inchieste delicate, gravi accuse nei suoi confronti poi definitivamente archiviate. L’unica certezza è che gli attriti all’interno della Procura non mancavano. A partire dal disagio di Giovanni Falcone, cristallizzato negli stralci del suo diario pubblicati dal Sole24ore dopo l’attentato di Capaci. Tanti sono i passaggi che evocavano il suo malessere per spiegare la sua decisione di lasciare la Sicilia ( «Che ci rimanevo a fare laggiù? Per fare polemiche? Per subire umiliazioni? O soltanto per fornire un alibi?» ) per il ministero. Gli stralci dei diari furono confermati da Paolo Borsellino durante la sua ultima uscita pubblica a Casa Professa. Ma anche quest’ultimo era sofferente. Una sofferenza che ritroviamo narrata in un articolo di Luca Rossi pubblicato sul Corriere della Sera il 21 luglio, due giorni dopo la strage di Via D’Amelio ( l’intervista era del 2 luglio precedente - come confermò nella testimonianza a Palermo del 6.7.2012). Vale la pena riportarla, soprattutto quando l’eroico magistrato gli ammise testualmente: «Devo reggere il mio entusiasmo con le stampelle». Borsellino gli disse che stava seguendo delle indagini sull’omicidio di Falcone e che aveva un’ipotesi. Quale? «Pensava che potesse esistere una connessione tra l’omicidio di Salvo Lima e quello di Falcone, e che il trait d’union fosse una questione di appalti, in cui Lima era stato in qualche modo coinvolto e che Falcone stava studiando». Il riferimento era all’inchiesta sul dossier Mafia- Appalti ( richiesta di archiviazione depositata il 22 luglio).
Ma in quella interlocuzione, Borsellino disse qualcosa di più riguardo alla Procura di Palermo guidata da Giammanco. Sempre Rossi, nell’articolo, scrive che il magistrato non era così entusiasta di lasciare Palermo per essere a capo della superprocura, voluta dall’allora guardasigilli Claudio Martelli. «Se me vado da qui – gli spiegò -, da Palermo, non ho più nessuno che mi faccia da sponda. Qui non è rimasto nessuno. Non ci sono più inchieste, non c’è un lavoro organico: che cosa posso coordinare io da Roma se nessuno fa indagini in Sicilia?». Borsellino, sempre a Rossi, aveva dichiarato un suo intento ben preciso: «Devo aspettare un paio di anni, che Giammanco se ne vada: in questo caso, avrò buone probabilità di diventare capo di Palermo».
Mafia Appalti era il suo pallino, un dossier che causò attriti tra i Ros che lo redissero sotto la spinta di Falcone e l’allora Procura di Palermo. Durante i processi sulle stragi di Capaci e soprattutto di Via D’Amelio, l’ex capo della Procura Giammanco non era mai stato invitato a testimoniare. Così come non è mai stato ascoltato a proposito della sua famosa telefonata che fece quella mattina del famigerato 19 luglio a Paolo Borsellino. Come se non esistesse più, un invisibile che si è ritirato nella sua vita privata e nel massimo riserbo fino al giorno della sua morte. E’ proprio per questo che il difensore dei giornalisti del Il Dubbio, l’avvocata milanese Simona Giannetti, che si sta occupando del procedimento di Avezzano relativo alla diffamazione a mezzo stampa per l’inchiesta sulle vicende del dossier Mafia- Appalti, ci ha segnalato che avrebbe voluto sentire l’ex Procuratore Capo Giammanco in merito ad alcune circostanze, che sono state oggetto della querela, e che per questo gli aveva inviato una missiva da lui ricevuta il 19 novembre, ma non ancora riscontrata. La ragione del colloquio e delle eventuali sommarie informazioni testimoniali, riferisce l’avvocata raggiunta da Il Dubbio, «era solo quella di mettere nero su bianco anche la versione dell’allora Procuratore Capo Giammanco, su alcuni fatti, di cui comunque abbiamo la prova con testimonianze oramai cristallizzate agli atti dei vari processi palermitani, ma per i quali, per motivi certamente di natura processuale, sembra che nessun inquirente abbia mai scelto di conoscere la sua versione».
A questo proposito, aggiunge l’avvocata, «sarebbe stato utile approfondire, ad esempio, i temi legati alla telefonata di consegna della delega alle indagini sui processi palermitani del 19 luglio 1992, visto che l’oggetto della difesa attiene all’archiviazione dell’indagine mafia appalti, cioè una tra quelle che Borsellino aveva ricevuto in delega proprio quel giorno» .