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L’anno 1992, come il 1989, è stato l’ennesimo spartiacque nel mondo intero. Negli Stati Uniti inizia l’era – poi finita tra pepate polemiche – del democratico Bill Clinton. È uno spartiacque in Europa, dove entra tragicamente nel vivo il conflitto che dilanierà la Penisola Balcanica e che si concluderà nel 1995. Perfino il cinema non sarà più lo stesso. Nel 1992 verrà presentato prima al Sundance poi a Cannes, l’opera d’esordio di uno stralunato cinefilo di Knoxville – ex impiegato di una videoteca – chiamato Quentin Tarantino. Reservoir Dogs, nell’ottobre dello stesso anno, viene rilasciato anche da noi col titolo Cani da rapina: non lo vedrà praticamente nessuno. Quando poi la distribuzione opta per il titolo che oggi tutti conosciamo – Le iene – anche il nostro pubblico si desta e comprende che da lì in poi il cinema non sarà più lo stesso.
Ma il 1992 è stato l’annus horribilis della Repubblica italiana. Un vero e proprio terremoto si abbatte nel nostro Paese, dove sotto le bombe della mafia esplode Tangentopoli. Crolla l’impero delle luci e del benessere dalle mille contraddizioni della Prima Repubblica, si dimette il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga e si apre la strada per la discesa in campo di un imprenditore milanese, Silvio Berlusconi, che due anni dopo sarà eletto. Ma è l’anno, appunto, della mafia corleonese che teme di essere annientata, e cioè teme che sia intaccata la sua potenza economica, che si fonda non solo sul traffico di droga, ma sulla gestione degli appalti con la connivenza di alcuni imprenditori e politici anche di rilievo nazionale. Un mafia che compie le stragi con il tritolo, uccidendo prima Falcone e dopo Borsellino. Ma ci fu anche l’omicidio di Salvo Lima ( capo degli andreottiani in Sicilia), e non fu un caso isolato: il giorno prima a Castellammare di Stabia viene ucciso Sebastiano Corrado, un consigliere comunale del Pds e qualche giorno dopo cinque pallottole calibro 45 uccidono Salvatore Gaglio, 50 anni, segretario della Federazione del Psi di Bruxelles.
La seconda lettera anonima, giornalisticamente chiamata “Corvo 2” apparve al cavallo tra la strage di Capaci e via D’Amelio. I Ros, in quel convulso periodo, cercavano chi gli consentisse di lavorare effi- cacemente, mentre l’organismo di punta della magistratura nella lotta contro l’organizzazione mafiosa, la procura della Repubblica di Palermo, era quasi all’impotenza operativa, preda al suo interno di forti contrasti: un “covo di vipere” secondo il parere espresso da Borsellino, nel giugno 1992, ai colleghi Camassa e Russo. Affermazione che non costituiva solo lo sfogo isolato di una persona delusa, visto che in quell’estate, tra i magistrati della Procura di Palermo, si manifestarono aspre polemiche culminate in un documento, reso pubblico e sottoscritto da un numero significativo di sostituti, che evidenziava una forte contestazione nei confronti dell’allora procuratore capo Giammanco in relazione alla gestione dell’Ufficio.
Una lettera anonima che spunta in questo periodo particolare, quando Borsellino riteneva che potesse esserci un legame diretto tra l’attentato di Capaci e la più recente attività di Falcone; e pensava che la continuazione dell’indagine mafia- appalti, che i Ros avevano iniziato con Falcone, avrebbe comunque rappresentato un salto di qualità nel contrasto a Cosa nostra.
Parliamo di una lettera di otto pagine dattiloscritte indirizzata a trentanove tra personalità di livello nazionale, tra cui lo stesso Borsellino. Otto pagine che ricostruiscono uno scenario siciliano, che indicano piste investigative, che invitano a seguire con più attenzione certi indizi, che gettano ombre su alcuni uomini importanti. Una lettera che fa tremare Palermo e i palazzi romani. Questa volta si firma con un “noi”. L’hanno messa in circuito fra il 22 e il 23 di giugno, per una decina di giorni solo sussurri e bisbigli. Poi, improvvisamente, un giornale, La Sicilia di Catania, decide di pubblicare ampi stralci di quell’anonimo. Le otto pagine sono diventate un ' caso', tanto da far scaturire un’interrogazione parlamentare da parte del senatore Lucio Libertini di Rifondazione Comunista. Gli anonimi del “Corvo 2” riportano il tentativo della Dc di rinnovare il partito liberandosi di Andreotti. In particolare facevano riferimento esplicito all’attività degli onorevoli Sergio Mattarella e Calogero Mannino volta a scalzare il potentato politico detenuto in Sicilia da Giulio Andreotti, attraverso l’onorevole Salvo Lima, in vista delle elezioni politiche del 5 e 6 di aprile di quell’anno. Entrando nei particolari l’anonimo descriveva, tra gli altri, anche di un incontro, facilitato dal professionista palermitano Pietro Di Miceli, che sarebbe avvenuto in una chiesa di San Giuseppe Iato, tra Mannino e Salvatore Riina nel corso del quale gli accordi raggiunti avrebbero anche previsto l’eliminazione fisica dell’onorevole Lima. I conseguenti sviluppi dell’intesa avrebbero poi determinato, in successione di tempo, anche l’assassinio di Falcone. Una lettera, insomma, che - come fu per quella precedente che infangò Falcone e persone dello Stato a lui vicine -, fa accuse pesantissime, a tratti deliranti. Tanto da sostenere che Totò Riina si sarebbe messo d’accordo per farsi arrestare in cambio di alcuni punti da rispettare.
Ricorda qualcosa? Sì, sembra il prototipo del teorema giudiziario sulla presunta trattativa stato- mafia che si basa, appunto, su un papello ( inattendibile quanto la lettera anonima) con diversi punti che lo Stato avrebbe dovuto rispettare.
Ma come accade in tutte quelle lettere dove dietro c’è la mano di qualcuno che vuole depistare, c’è un mix di qualche notizia vera, di pubblico dominio, insieme ad altre verosimili e ad altre visibilmente surreali. Ad esempio - noti- zia vera - viene citato mafia- appalti, comprese alcune aziende coinvolte, facendo riferimento ai magistrati di Palermo che, di fronte a un informativa di 900 pagine, si sono limitati ad arrestare persone di basso profilo. Ma – c’è da dire – questa era roba nota visto che montò una polemica pubblica su quell’episodio.
Chi è stato l’autore della lettera? La serie di considerazioni e notizie di dettaglio riportate nel testo attribuito al “Corvo 2”, vennero esaminate dagli organismi delegati alle indagini che, in data 2 febbraio 1993, trasmisero, a firma del questore Achille Serra e del generale Antonio Subranni, l’informativa n. 123G/ 628271/ 100B protocollo del Servizio centrale operativo e n. 10102/ 14 protocollo Ros. Il documento prendeva in esame dettagliatamente gli sviluppi della vicenda, nel cui ambito anche il generale Mario Mori fece una personale attività d’indagine, ricostruendone gli antefatti e individuando l’estensore dell’anonimo, ma solo come dato probabilistico, in tale Angelo Sciortino, le cui affermazioni avevano trovato “elementi di notevole somiglianza” nel contenuto dell’anonimo stesso, con quello riferito da una fonte informativa del Sisde, denominata “Spada“, e da altre risultanze testimoniali acquisite. Il Sisde però non comunicò mai il nome della sua fonte.
Quello che sappiamo è che le inchieste delle procure di Caltanissetta e Palermo non portarono all’accertamento e all’attribuzione di specifiche responsabilità. Le rivelazioni anonime, però, hanno avuto il potere di distogliere per un po’ di tempo le energie giudiziarie e di polizia dalla caccia agli autori della strage di Capaci. Il dato certo, come documentato da questa inchiesta de Il Dubbio, è che negli ultimi giorni di vita, Borsellino era impegnato con tutte le sue forze a individuare mandanti ed esecutori della strage di Capaci e la sua attenzione particolare era rivolta all’inchiesta mafiaappalti, a suo tempo avviata da Giovanni Falcone, che lui riteneva l’indagine da sviluppare prioritariamente.
A differenza di quanto sostenuto dai titolari dell’inchiesta sulla trattativa Stato– mafia, l’attività professionale di Borsellino era concentrata su quello, e nessun cenno, anche indiretto, egli aveva fatto a ipotesi di trattative o contatti tra istituzioni dello Stato e “Cosa nostra”.
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