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«Mi deve scrivere un’informativa con una struttura diversa, un’informativa che sia “romana” e che riferisca i fatti in maniera onnicomprensiva», disse il pm al capitano dei carabinieri.
La frase, che potrebbe essere stata estrapolata da un dialogo fra un magistrato della Capitale ed un ex ufficiale della Gendarmeria del Regno delle Due Sicilie confluito nei carabinieri reali all’indomani dell’Unità d’Italia, è stata in realtà pronunciata nel gennaio del 2017 da Mario Palazzi, sostituto della Procura di Roma, durante un colloquio con Giampaolo Scafarto, allora capitano del Noe e ora assessore alla Legalità del Comune di Castellamare.
L’episodio è stato raccontato giovedì scorso dallo stesso Palazzi davanti alla sezione disciplinare del Csm.
Chiamato come teste nel procedimento disciplinare a carico dei pm napoletani Henry Jonh Woodcock e Celestina Carrano circa la mancata iscrizione nell’indagine “Consip” di Filippo Vannoni, ex consigliere di Palazzo Chigi, Palazzi ha ricostruito il proprio rapporto professionale con chi ha materialmente condotto gli accertamenti: Scafarto ed il Noe dei carabinieri.
Tutto ha inizio alle ore 18 del 21 dicembre del 2016 quando Woodcock, per competenza, consegna a mano al procuratore di Roma Giuseppe Pignatone il fascicolo in cui i generali dei carabinieri Tullio Del Sette ed Emanuele Saltalamacchia, oltre all’allora ministro Luca Lotti, sono accusati di aver informato il capo di Consip Luigi Ferrara di una inchiesta sulla società da lui presieduta.
Il 22 dicembre il Fatto Quotidiano apre sulla notizia dell’indagine. Pignatone decide di assegnare a Palazzi il fascicolo. Il pm romano, dopo aver replicato le iscrizioni fatte a Napoli a carico dei predetti, chiama Scafarto per capire di cosa si tratta. Nell’iniziale fascicolo depositato erano infatti contenuti solo alcuni verbali di sommarie informazioni.
L’ 11 gennaio il Noe deposita l’informativa. E’ una informativa di “difficile gestione”, “complessa”, racconta Palazzi davanti alla disciplinare del Csm. Il sostituto romano si sofferma in particolare sull’inusuale linguaggio utilizzato dai carabinieri del Noe. Un linguaggio da lui definito “flamboyant”. L’informativa, spiega Palazzi, era costituita praticamente solo da intercettazioni telefoniche: «Quattro quinti di intercettazioni glossate da commenti».
Da qui la necessità per Palazzi di una informativa che avesse uno stile più comprensibile, diverso da quello verosimilmente accettato dalla Procura di Napoli.
Il 2 febbraio Scafarto consegna a Palazzi la nuova informativa riveduta e corretta. Il risultato non è dei migliori visto che dopo averla letta a Palazzi “cresce la bile”. «Era tutt’altro rispetto a quello che avevo chiesto», dice il pm. In particolare «vi erano riferimenti ad attività di controspionaggio poste in essere da componenti del Governo Renzi». Episodi che poi si riveleranno essere dei tarocchi. Ma sono le conclusioni che fanno “inalberare” Palazzi. I carabinieri del Noe attribuiscono agli indagati reati diversi da quelli indicati da magistrato romano. Ad esempio ipotizzano il reato di istigazione alla corruzione invece di quello di traffico d’influenze. Il motivo? Lo chiarisce sempre Palazzi: «Perché volevano procedere alle intercettazioni e il traffico di influenze non lo permetteva».
Il rapporto Noe/ Palazzi si interromperà definitivamente qualche settimana più tardi. Il 4 marzo, all’indomani dell’ennesima fuga di notizie, la Procura di Roma toglierà il fascicolo al Noe e Scafarto sarà iscritto nel registro degli indagati per falso e depistaggio.