Due suicidi nel giro di poche ore e clamorose proteste da parte dei detenuti. Uno è avvenuto nel carcere di Don Bosco di Pisa all’una di notte di ieri. Si tratta di un giovane tunisino che si è impiccato. Subito dopo una quarantina di detenuti hanno inscenato una protesta nelle ore notturne occupando il corridoio di accesso ai passeggi lanciando pietre verso il pavimento attraverso le finestre. Il capo del Dap Santi Consolo, informato nella notte dei fatti, è rientrato dalle ferie ed è giunto a Pisa alle 11. La situazione appariva critica, nel piazzale esterno sostavano ancora carabinieri e polizia pronti ad intervenire; all’interno la situazione era sotto il controllo della polizia penitenziaria. Nonostante la difficoltà, raggiunto il passeggio, Consolo è riuscito a dialogare con i detenuti per riportare la calma e ha invitato una loro rappresentanza di cinque persone all’esterno della zona occupata. Al termine del colloquio, durante il quale hanno manifestato il dolore per la morte del loro compagno, tutti i detenuti coinvolti nei disordini hanno fatto rientro nelle sezioni detentive.
L’altro suicidio, questa volta al carcere di Torino, è avvenuto nella mattinata di ieri. Si tratta di un 37enne di origini sinti che si è impiccato legandosi con un lenzuolo alle grate del bagno della cella dove era ristretto. Altre due morti che allungano l’inarrestabile lista dei decessi che avvengono nelle nostre patrie galere. Ufficialmente parliamo di 36 suicidi avvenuti all’interno dei penitenziari, ma se aggiungiamo anche il suicidio avvenuto in esecuzione penale esterna, quello nella Rems e il decesso in ospedale dopo un tentato suicidio, arriviamo a 39 dall’inizio dell’anno.
Al di là della questione numerica, resta il dato oggettivo che si tratta di una vera e propria emergenza che i piani di prevenzione messi in campo dal ministro della Giustizia non riescono a contenere.
Una speranza è da ritrovare nell’attuazione della riforma dell’ordinamento penitenziario.
Però c’è il serio rischio che ciò non vada in porto perché servono i decreti attuativi. A redigerli ci stanno pensando le tre commissioni istituite dal guardasigilli e che dovranno presentare le bozze a fine anno. Dopodiché, una volta approvati dal Consiglio dei ministri, le commissioni giustizia del Senato e della Camera dovranno dare un parere ai decreti per poi passare ad una eventuale approvazione definitiva da parte del consiglio. L’iter quindi si prospetterà lungo e ciò avverrà in piena campagna elettorale e nella situazione in cui ci saranno altre priorità come la legge elettorale e quella di bilancio.
«Il 31 dicembre prossimo – denuncia Rita Bernardini, membro della presidenza del Partito Radicale – cade in una “finestra” temporale pericolosissima per il varo di una normativa così importante. Lo stesso ministro, quando nel luglio scorso finii in ospedale per un prolungato sciopero della fame, disse che i decreti sarebbero stati emanati entro agosto essendo i testi già pronti perché frutto del lavoro degli Stati Generali dell’esecuzione penale». Proprio per questo il Partito Radicale ha lanciato dal 16 agosto una mobilitazione nonviolenta per la riforma dell’ordinamento penitenziario, un grande Satyagraha che ha già raccolto l’adesione di quasi 7000 detenuti.
Azioni non violente che riescono a contenere, almeno per ora, una situazione pronta ad esplodere. L’ultimo tentativo di rivolta avvenuto nel carcere di Don Bosco è anche generato dalle condizioni insostenibili dell’istituto penitenziario. Parliamo di una struttura decadente ( a marzo è crollato anche il soffitto di un locale del carcere) con luoghi di detenzione fatiscenti. Eppure la grave situazione del carcere era stata monitorata e denunciata già lo scorso anno in un esposto alla Procura di Pisa da parte di Rita Bernardini. Esposto, almeno finora, rimasto inevaso.