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Come ogni estate che si rispetti, complice una temperatura sempre più torrida, ecco arrivare la circolare sul “dress code” per accedere nei palazzi di giustizia. L’ultima in ordine di tempo è del presidente del Tribunale di Bergamo, Cesare de Sapia.
IL CASO Da questa settimana negli uffici giudiziari della città dei Mille sono vietati bermuda ed infradito. Niente obbligo di giacca e cravatta ma gambe e piedi dovranno sempre essere coperti. A chi disattenderà la disposizione verrà inibito l’accesso.
Il prestigio dell’Istituzione si tutela partendo dall’abbigliamento, che dovrà essere quanto più possibile decoroso e sobrio. Nulla a che vedere, dunque, con le ben note indicazioni date da Francesco Bellomo, l’ex giudice del Consiglio di Stato che alle corsiste della sua scuola di preparazione al concorso in magistratura imponeva minigonne vertiginose, abiti scollati, tacco 12.
Nessun abbigliamento “di tipo balneare e da tempo libero” scrissero qualche anno fa Ersilio Secchi e Antonio Chiappani, rispettivamente presidente del Tribunale e procuratore di Lecco.
«Occorre garantire - si legge nella disposizione ancora in vigore - che le udienze dinanzi ai Giudici si svolgano in un contesto di decoro consono all’importanza dell’attività svolta, comprendente il rispetto per tutti coloro che vi si trovano a presenziare ed operare».
«È stato pertanto disposto che l’accesso alle aule di udienza ( e agli uffici dei Giudici e dei Pubblici Ministeri) richieda un abbigliamento consono al luogo e agli incombenti che vi si celebrano, secondo una valutazione rimessa al buon senso comune, evitando in particolare abbigliamenti di tipo balneare o da tempo libero», precisarono i due magistrati.
ANCHE A LIVORNO E TRIESTE Dello stesso tenore la nota dell’allora presidente vicario del Tribunale di Livorno, Maria Giuliana Civini, che fece divieto a chiunque, per «il dovuto rispetto alla funzione», di introdursi all'interno del palazzo di giustizia senza indumenti “adeguati”.
E dove non esiste una circolare, arriva il buon senso? E scatta direttamente l’espulsione dall’aula. È quanto accaduto qualche settimana fa durante un'udienza di fronte al presidente della Sezione civile del Tribunale di Trieste, Arturo Picciotto.
«Anche se non c'è una casistica specifica su ciò che si può o non si può indossare, è il codice di procedura ad attribuire al giudice il compito di garantire il rispetto del decoro durante l'udienza pubblica», ha precisato il magistrato. In aula erano presenti due coniugi in fase di divorzio con i rispettivi avvocati. Dopo aver visto il look dell'uomo, un bermuda, il giudice gli ha intimato di allontanarsi e di cambiarsi d’abito. «Ho parlato con gli avvocati e mi sono lamentato del fatto che non avessero dato indicazioni di vestirsi in modo adeguato - ha detto -. Mi hanno assicurato di averlo fatto, ma la raccomandazione non era stata recepita. L'ho quindi invitato a tornare vestito in modo adeguato».
Dopo essere stato allontanato, l'uomo si è cambiato i vestiti e si è ripresentato un'ora più tardi in aula. «Così abbiamo potuto procedere con l'udienza - ha aggiunto Picciotto, specificando che non ci sono stati momenti di tensione con l'uomo -. L'apparenza è un modo per riconoscere il valore dell'istituzione e l'importanza della funzione che stiamo svolgendo nel nome del popolo italiano».
Il richiamo ad un abbigliamento consono vale comunque anche per i magistrati. Divenne virale nell’estate 2017 l’immagine del gip del Tribunale di Reggio Emilia, Giovanni Ghini, che faceva udienza in t- shirt rossa.
Il magistrato, per sua stessa ammissione allergico alla cravatta, finì nell’occhio del ciclone e nei suoi confronti venne aperta anche una pratica al Consiglio superiore della magistratura.