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La stampa ha dato notizia dell’avviso di chiusura indagini da parte della procura di Caltanissetta a carico degli ex generali dei carabinieri della Dia Alberto Tersigni e Angiolo Pellegrini. L’accusa è quella di non aver vagliato le dichiarazioni di Pietro Riggio, ora collaboratore di giustizia e che all’epoca operava da infiltrato per conto della Dia stessa con lo scopo di arrivare alla cattura di Bernardo Provenzano. In quel periodo, da confidente, raccontò agli ex ufficiali di aver appreso dall’ex poliziotto Giovanni Peluso che nel 2001 c’era un progetto di attentato nei confronti del giudice Guarnotta, che all’epoca presiedeva il processo di primo grado nei confronti dell’allora senatore Dell’Utri.
Secondo quanto riporta la stampa, per la procura nissena i due ex generali della Dia non avrebbero messo al vaglio tali dichiarazioni. Anzi, sono accusati di aver affermato il falso dinnanzi alla procura che chiedeva chiarimenti sui fatti, non avrebbero detto ciò che sapevano e avrebbero addirittura ostacolato le indagini “finalizzate ad acquisire elementi per comprovare l’autenticità delle dichiarazioni di Riggio”. Qualcosa però, sempre se è corretto come riportato da alcuni giornali, non torna. Da parte degli allora colonelli, non si trattava di comprovare la buona fede di Riggio, ma se la notizia de relato che ha appreso, fosse vera o meno. In realtà, dagli atti emersi duranti il processo d’appello trattativa Stato Mafia, gli ex ufficiali della Dia Alberto Tersigni e Angiolo Pellegrini hanno messo eccome al vaglio quelle dichiarazioni, confrontandosi anche con l’allora capo della procura di Palermo Pietro Grasso.
Ma andiamo con ordine. Pietro Riggio era un ex agente della polizia penitenziaria, con relazioni di parentela ed amicizie ingombranti. Nel frattempo diventa un favoreggiatore di esponenti mafiosi, viene tratto in arresto e finisce nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere dove conosce altri ex agenti delle forze dell’ordine condannati per varie tipologie di reati. Ed è lì che, tra gli altri, conosce Giovanni Peluso. Un soggetto particolare che, come vedremo, si rivelerà un millantatore per spillare denaro. In questa combriccola detenuta nel carcere, c’era anche Antonio Mazzei. Un ex delinquente di bassa lega che effettivamente era stato a suo tempo convocato dalla Dia perché – secondo i carabinieri stessi-, sia lui che lo stesso Peluso, avrebbero detto di essere in grado di poter arrivare alla cattura di Provenzano.
Lo stesso colonnello Pellegrini della Dia ha poi constatato che erano dei truffaldini e millantatori. Però in quel frangente, Mazzei era stato preso molto sul serio. Ricordiamo che su Provenzano c’era una taglia milionaria, e quindi faceva gola. Sarà proprio questo Mazzei a informare l’ex colonnello della Dia Pellegrini che c’era un ex agente di polizia penitenziaria ancora detenuto che sarebbe stato disponibile a fornire notizie utili per la cattura di Provenzano, in cambio di garanzie sul buon esito, per sé e per il cugino Barbieri, della vicenda processuale che li vedeva entrambi imputati di associazione mafiosa.
Avviene quindi il reclutamento. In effetti Riggio, una volta uscito dal carcere, è subito rientrato nel giro delle estorsioni per conto di cosa nostra. In quel frangente, come confidente, ha portato a qualche risultato come l’individuazione di una talpa all’interno della Procura di Caltanissetta, così come ha aiutato a capire le dinamiche di Cosa nostra nissena e dato informazioni su tentativi di estorsione nel territorio. Ma finì lì. Molto utile per le cose che conosceva, ma poco e nulla per le cose che apprendeva de relato. In particolar modo da questo Peluso. Ma chi è quest’ultimo? Proviene dal nutrito sottobosco composto da falsari, truffatori, papponi. Lo stesso Peluso – come si legge nelle motivazioni della sentenza di secondo grado della trattativa stato mafia - era un pregiudicato per truffa, violenza sessuale, sfruttamento della prostituzione e altri reati. Costui si spacciava per uno che avrebbe commesso l’attentato di Capaci, di far parte dei servizi deviati, e altri racconti “indicibili”. Protagonista di delitti eclatanti e trame eversive decisamente non alla portata della sua statura.
Tra i vari racconti che fece a Riggio, uno è quello del sedicente progetto di attentato nei confronti dell’allora giudice Guarnotta. Gli ex colonnelli Alberto Tersigni e Angiolo Pellegrini hanno fatto fina di nulla? Nonostante sia già poco credibile di suo visto che dopo la sconfitta dell’ala stragista, la mafia ha usato la tattica della “sommersione”, e quindi nessun rumore e nessun eclatante attentato, gli ufficiali della Dia misero subito sotto intercettazione telefonica Peluso. È quello che risulta inequivocabilmente agli atti. Ma non solo. La Dia avvisò correttamente l’allora procuratore Grasso. Come si legge nell’informativa della Dia, si parla di una fonte (ovvero Riggio) che rivela ai carabinieri «non meglio indicati soggetti, presumibilmente non in linea con gli attuali orientamenti di Cosa Nostra, potrebbero avere in mente di porre in atto un episodio eclatante, verosimilmente nel capoluogo dell’isola».
La fonte dice che tali soggetti, per l’attentato, potrebbero servirsi di «tale Peluso Giovanni, ex poliziotto, che proprio in questi giorni avrebbe preso la dimora a Catania presso persone compiacenti e si sarebbe recato più di una volta a Palermo, servendosi di mezzi pubblici». Quindi presero sul serio questo racconto de relato, appurando nello stesso tempo che Peluso era un pregiudicato per prostituzione e truffa. Quest’ultimo reato è stato per Grasso un campanello d’allarme, tant’è vero – come si legge nell’informativa – che ha concordato l’avvio delle indagini preventive «con la possibilità, tenuto conto dei precedenti penali del Peluso, che possa trattarsi di millanterie nei confronti della fonte».
Ebbene, alla fine le indagini hanno confermato questo dubbio. Riportiamo integralmente il contenuto della nota del 2001 a firma dell’ex colonnello Pellegrini: «Le conversazioni registrate ed i conseguenti accertamenti svolti, non hanno consentito di poter confermare la partecipazione del Peluso all’ipotesi di reato inizialmente formulata in virtù della quale il servizio era stato richiesto. Il Peluso, ispettore cli polizia sospeso dal Servizio, in quanto indagato, dalle risultanze del servizio di ascolto è risultato condurre un tenore cdi vita non regolare. I suoi interessi lo hanno portato ad accostarsi a persone - alcune delle quali ancora in vita e in via di identificazione - con le quali intrattiene comuni interessi sulle cui finalità si ha motivo di sospettare un arricchimento illecito. Ma, allo stato degli atti, nulla che possa giustificare un indizio di affiliazione alla grande criminalità organizzata. Piuttosto, il linguaggio criptico di alcune conversazioni telefoniche, il ricorso a millanterie e frasi ci convenienza, nonché suoi trascorsi, lascerebbero propendere per il coinvolgimento del Peluso in attività illecite cli tipo truffaldino, i cui elementi tuttavia non è dato comprendere».
È giustificabile che un collaboratore come Riggio si era convinto di conoscere tanti segreti “indicibili”, rivelando ciò che era venuto a sapere dal millantatore Peluso. D’altronde, tra le varie cose, oggi Riggio denuncia che la Dia in realtà non voleva catturare Provenzano. Ma l’unica “prova” che è in grado di esibire resta quella affidata alle rivelazioni che gli sarebbero state fatte dal solito Peluso in occasione di un incontro che il collaborante colloca temporalmente nel 2003 inoltrato, ovvero nella seconda metà del 2003. Detto questo, se da una parte Riggio è giustificabile, sarebbe del tutto disarmante se ci avessero creduto dei professionisti come gli allora ufficiali della Dia e l’allora procuratore Grasso. Chi scrive, non conosce i dettagli della chiusura delle indagini nei confronti di Tersigni e Pellegrini, ma ci si augura che la procura nissena non abbia preso sul serio le narrazioni di Peluso. Quest’ultime vanno bene per i programmi in prima serata su La Sette, ma non per le indagini o le aule di giustizia.