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Walter Tobagi è morto a causa di una serie di leggerezze investigative. È la tesi del giudice Guido Salvini che riapre un capitolo dolorissimo degli anni di piombo: l’assassinio dell’inviato del Corriere della Sera, avvenuto il 28 maggio del 1980 per mano del terrorismo rosso. E a distanza di tanti anni spunta un’informativa dei carabinieri che aveva messo in guarda sui pericoli che correva il giornalista. Ma gli investigatori non diedero peso a quell’avviso. «La Procura in un primo momento prova a negare persino l’esistenza di questa informativa, ma quando viene prodotta la copia del documento ne sminuiscono il contenuto, giudicandolo poco attendibile», spiega Guido Salvini, il giudice che ha ritrovato quel documento.
Senza alcune leggerezze investigative Walter Tobagi si sarebbe potuto salvare. È questa la tesi del giudice Guido Salvini che riapre un capitolo buio degli anni di piombo: l’assassinio dell’inviato del Corriere della Sera, avvenuto il 28 maggio del 1980 per mano del terrorismo rosso.
Giudice, perché secondo lei Tobagi avrebbe potuto salvarsi?
Per rispondere a questa domanda bisogna fare qualche passo indietro rispetto all’omicidio del giornalista per accorgersi che qualcosa non torna nelle indagini. Quando qualche mese dopo l’assassinio viene arrestato per reati minori Marco Barbone, leader della Brigata XXVIII marzo e tra gli esecutori dell’omicidio, il Nucleo antiterrorismo sostiene di aver scoperto da poco un volantino manoscritto in una sede delle Formazioni comuniste combattenti in cui era possibile riscontrare la grafia di Barbone. E questo dettaglio viene considerato un elemento di accusa importante. Ma da un punto di vista investigativo c’è qualcosa che non torna, è poco verosimile, non è mai successo che si trovi un testo scritto a mano e tra centinaia di persone, perché a Milano centinaia di persone appartenevano a formazioni terroristiche, si individui a colpo sicuro una persona.
E come arrivano allora a Barbone secondo lei?
La storia è un’altra. Io sono riuscito a trovare una relazione dei Carabinieri datata 4 giugno 1980, appena una settimana dopo l’omicidio, in cui viene riportata un’attività di appostamento sotto casa di Barbone e della sua fidanzata, Caterina Rosenzweig, per conoscerne i movimenti. Significa che subito dopo la morte di Tobagi gli inquirenti sanno già qualcosa e, a colpo sicuro, capiscono in che direzione indagare, come racconta nella sua relazione il maresciallo che ha fatto l’appo- stamento. L’ 11 giugno scattano le intercettazioni a Barbone, Rosenzweig e Morandini ( altro componente del gruppo).
Cioè, Tobagi è morto da una settimana e la Procura sa già quale gruppo ha agito e chi ha sparato. Indagini superefficienti o c’è qualcosa di strano?
Secondo me dopo la morte del giornalista gli investigatori si rendono conto di aver commesso un grave errore. capiscono cioè di aver sottovalutato le notizie che di cui già erano in possesso da tempo sul gruppo, grazie all’attività di Ciondolo, il sottoufficiale che era riuscito a infiltrarsi tra i terroristi attraverso Rocco Ricciardi, il “postino” che conosceva alcuni della Brigata XXVIII marzo. Ma quando si accorgono dell’errore è troppo tardi, Tobagi è già morto. E per non ammettere pubblicamente il grave errore provano a costruire una sorta di percorso alternativo per giustificare il successo postumo dell’attività investigativa. Da qui la storia del volantino manoscritto.
Quindi gli inquirenti capiscono di aver sbagliato e dopo la tragedia riaprono una pista che avevano scartato?
Il Nucleo antiterrorismo aveva un confidente già da un anno. E durante il processo di primo grado salta fuori un’informativa del dicembre del 1979 in cui Ricciardi, “il postino”, mette in guardia Ciondolo sull’intenzione di uccidere Tobagi da parte di un nuovo gruppo terroristico che ha ripreso in mano un vecchio progetto delle Formazioni comuniste combattenti contro il giornalista. La Procura in un primo momento prova a negare persino l’esistenza di questa informativa, ma quando viene prodotta la copia del documento ne sminuiscono il contenuto, giudicandolo poco attendibile. Aggiungono poi che la Brigata XXVIII marzo non esisteva neppure all’epoca delle confidenze di Ricciardi. Ma è una ricostruzione debole. Perché, come racconta Francesco Giordano, altro fondatore del gruppo, loro si costituiscono nel novembre del 1979 col nome Guerriglia Rossa e cambiano denominazione poco dopo - trasformandosi in Brigata XXVIII marzo, in onore alle Brigate Rosse che che aveva avuto quattro militanti uccisi a Genova in quella data – ma si tratta sempre dello stesso identico gruppo, formato dalle stesse persone: sei, che nel dicembre ‘ 79 facevano già rapine insieme.
Quell’informativa è l’unica occasione in cui Ricciardi parla del “progetto Tobagi”?
I Carabinieri sostengono di sì. Ma Ciondolo smentisce, dice che incontrava il suo confidente Ricciardi almeno una volta a settimana e di aver redatto almeno trenta informative. Sono scomparse. In ogni caso, quella prodotta durante il processo venne resa pubblica dall’allora ministro della Difesa socialista Lelio Lagorio, generando la reazione della Procura che, invece di mettersi alla ricerca delle altre mancanti, si scaglia contro chi ha tirato fuori il documento. Ma la versione di Ciondolo è confermata dal generale Nicolò Bozzo, uomo dall’altissimo profilo morale e professionale, che ha ricordato la presenza di un grosso paccheto di informative. Io stesso ho ritrovato una di queste informative per sbaglio, mentre lavoravo a un altro processo.
Senza questa sottovalutazione Tobagi si sarebbe salvato?
Prima di rispondere a questa domanda voglio sottolineare una cosa. Io non credo che ci siano complotti da scoprire dietro la morte di Tobagi, cioè sono convinto sia stato ucciso dai sei di quel gruppo senza suggeritori o mandanti, convinti con quell’omicidio di poter entrare nelle Br. La storia del delitto maturato in ambienti P2 o tra gli stessi giornalisti comunisti per me non ha senso. Ma quando si commette un errore investigativo e si perpetua questo errore nelle aule di Tribunale, facendo condannare delle persone, l’errore diventa una colpa. E contribuisce ad alimentare dietrologie sbagliate. Io capisco che erano anni bui, con gambizzazioni e morti ogni settimana, un errore di sottovalutazione poteva succedere. L’importante è però correggere in corsa gli sbagli. Se avessero ascoltato Ricciardi forse Tobagi avrebbe avuto una scorta.