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No al diritto di tribuna, no agli avvocati nell’Ufficio studi, no alla valutazione degli esiti dei procedimenti per l’accesso in Cassazione. Il Consiglio superiore della magistratura fa muro e stronca le pur minime aperture alla classe forense contenute nel ddl di riforma dell’ordinamento giudiziario e dell’organo di autogoverno delle toghe elaborato dall’ex guardasigilli Alfonso Bonafede. La componente togata, soprattutto sul ruolo degli avvocati nei Consigli giudiziari, ha votato in maniera compatta. Al punto da spingere il laico Alberto Maria Benedetti (eletto su indicazione del M5s) a esclamare: «Gli avvocati sono sopportati, nei Consigli giudiziari...». «Qui si offende l’intera categoria forense», ha aggiunto Alessio Lanzi, laico voluto al Csm innanzitutto da Forza Italia, stigmatizzando il paragone contenuto nel parere fra Consigli giudiziari e Csm. «L’avvocato nel Consiglio giudiziario», ha fatto notare il professore di Diritto penale della Bicocca, «è un responsabile territoriale. Come il magistrato. Entrambi continuano a fare il proprio lavoro. Non a caso, i magistrati del Consiglio giudiziario non sono messi fuori ruolo come avviene per i magistrati eletti al Csm. L’avvocato al Csm, un professionista di area culturale designato dal Parlamento, è invece un rappresentate della società civile. Il Csm gestisce la magistratura nell’interesse della cittadinanza, non dei magistrati», ha puntualizzato Lanzi, «è impensabile mettere entrambi sullo stesso piano». La riforma, va detto, non prevedeva che gli avvocati votassero le valutazioni di professionalità dei magistrati. Il loro ruolo si sarebbe limitato eventualmente a portare all’attenzione del Consiglio giudiziario «concreti elementi oggettivi a carico del magistrato». Quindi segnalazioni sul suo comportamento, non sul suo operato. Il diritto di tribuna, dunque, sarebbe consistito nella mera partecipazione alle discussioni, limitandosi ad assistere, quando si sarebbe passati alle deliberazioni sulle valutazioni di professionalità dei magistrati. In alcuni Consigli giudiziari gli avvocati hanno già questo diritto di tribuna. Ma ciò dipende dalla sensibilità del presidente della Corte d’appello che è anche il presidente del “mini Csm” locale. A Milano, come più volte ricordato, l’allora presidente Giovanni Canzio era particolarmente favorevole al fatto che gli avvocati fossero presenti nei Consigli giudiziari e che, anche senza partecipare al voto, fornissero dei giudizi a proposito delle valutazioni di professionalità.Bocciata pure, come detto, la proposta di destinare all’Ufficio studi otto esterni, individuati mediante procedura selettiva con prova scritta, aperta anche a professori universitari e avvocati. Bonfade aveva ritenuto di “aprire” l’accesso a questa struttura strategica del Csm in modo da “contribuire ad aumentare la possibilità di apporti tecnicamente utili” e “arricchire l’attività dell’ufficio con apporti di esperienze culturali e formative esterne alla magistratura”. «L’esito era scontato: su certi argomenti i togati si compattano sempre», il laconico commento di Stefano Cavanna (di area Lega), che si è molto battuto per aumentare la pubblicità di tutte le attività consiliari.Bocciata, ancora, la norma che riduce da quattro a due i passaggi di funzioni, da pm a giudice e viceversa, consentiti ai magistrati, in quanto “introduce una separazione delle carriere non aderente all’impianto costituzionale che prevede l’unità della magistratura”. «Qualcuno mi dovrebbe spiegare dove è l’incostituzionalità di questa disposizione», ha commentato ancora Lanzi. Non solo: sul fronte degli incarichi “vengono rappresentate perplessità sull’obbligo di prevedere audizioni e interlocuzioni con i rappresentanti dell’avvocatura e con i magistrati e i dirigenti amministrativi dell’ufficio di provenienza del candidato”.Infine ieri, in apertura di plenum, il togato Antonio D’Amato (Magistratura indipendente) ha chiesto che si faccia chiarezza sui dossieraggi in corso in queste ore, con l’invio dei verbali, non firmati, dell’avvocato Piero Amara al Csm e alle redazioni di alcuni quotidiani. Vicenda che non stempera le tensioni, nelle ore in cui il Consiglio muove rilievi sulla riforma che lo riguarda.