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Come spesso capita, nell’orizzonte di Alfonso Bonafede c’è la compresenza di due aspetti: uno ideale e restrittivo, l’altro concreto e orientato alle aperture. Così è per il Recovery plan Giustizia: si potrebbe adottare una simile definizione per gli impegni accennati ieri, seppure «in via assolutamente generale», dal guardasigilli alla commissione Giustizia di Montecitorio. Interventi in parte già in corso, come «il piano per 12mila assunzioni», in parte da mettere in pista o completare grazie alle risorse europee. Il doppio livello è sintetizzato così dal ministro: «Nei progetti finanziati con il Recovery fund rientreranno sicuramente il consolidamento infrastrutturale e i progetti di inclusione sociale dei detenuti». Due piani molto concreti. Il primo riguarda non solo «la idoneità degli spazi da assicurare a chi vive e lavora all’interno degli istituti di pena», ma anche, ovviamente, la «digitalizzazione della giustizia». Il secondo consiste nel potenziare i progetti «lavorativi e formativi» per i reclusi adulti come per le carceri minorili: basti pensare a iniziative già in corso come quella studiata dall’Ufficio centrale detenuti e intitolata “Mi riscatto per il futuro”.
Potrà insomma sorprendere, ma dal ministro della Giustizia più sbilanciato su una visione general- preventiva, su quella «certezza della pena» evocata anche nell’audizione di ieri, arriva una proposta di destinazione del “Recovery” molto attenta anche alle «misure alternative alla detenzione». Sarebbe una realizzazione concreta di quella riforma penitenziaria rimasta sulla carta. Realizzata con il fondo europeo per l’emergenza.
Una svolta possibile, inserita comunque da Bonafede in un quadro più ampio, in cui spiccano «i passi avanti già compiuti, che mi permetto di ricordare con orgoglio». Ma a indirizzare le scelte da fare sul Recovery - ovviamente non solo nel settore giustizia saranno anche le aspettative europee. Lo s’intende quando il guardasigilli ripercorre le “raccomandazioni” rivolte dalla Commissione di Bruxelles negli ultimi tre anni. Soprattutto quando ricorda che i partner si aspettano dall’Italia non solo «interventi sul processo penale» e sulle «sanzioni per chi assume cariche pubbliche in conflitto di interessi», ma anche rivolti ad arginare i «tentativi della mafia di distrarre risorse pubbliche». È evidente che alle istituzioni comunitarie non farebbe piacere se gli appalti per ammodernare palazzi di giustizia e carceri finissero in un modo o nell’altro alle organizzazioni criminali.
In generale, avverte il guardasigilli, «sulla giustizia si gioca gran parte del rilancio del paese: il fatto che si debba riformarla è considerato prioritario» e serve «celerità, i tempi contano». Sul punto sono tutti d’accordo. Ma la cattiva notizia, per le opposizioni che non mancano di incalzare Bonafede dopo l’intervento, è nascosta tra le righe nella frase successiva: «Rispetto qualsiasi decisione del Parlamento, l’apertura della maggioranza e del ministero rispetto alle proposte che verranno dall’opposizione sarà concreta» ma «la capacità delle istituzioni di portare avanti i progetti di riforma farà la differenza». Vuol dire che non si potrà attendere il miraggio di un’improbabile unità istituzionale: chi governa alla fine decide. E neppure troppo “alla fine”.
A proposito di aspettative “internazionali”: il ministro della Giustizia non manca di ricordare che «le imprese, gli investitori stranieri, si aspettano di trovare un ambiente regolativo», cioè una legislazione, «chiaro ed efficiente: in modo da poter prevedere nei limiti del possibile quanto tempo impiegherebbero per definire una controversia, anche fiscale, o recuperare un credito». Non a caso «Bankitalia e Confesercenti ribadiscono che una maggiore celerità nella giustizia civile potrebbe valere da 22 a 40 miliardi». Poi ricorre tante volte la necessità di «insistere nella lotta alla corruzione» e di assicurare «trasparenza e concorrenza», la convinzione che molto si è fatto e che però «si tratta di obiettivi ancora più urgenti considerate proprio le opportunità offerte dal Recovery plan per raggiungerli appieno». Fatto sta che nel riassumere i traguardi già superati, Bonafede riconosce come per la stessa Ue sia stato significativo «il passo avanti compiuto nel 2017 sulla prescrizione», cioè con la riforma Orlando: implicitamente ammette che non sarebbe stato indispensabile intervenire ancora sull’istituto, come invece si è deciso di fare con la spazzacorrotti. E a proposito di spazzacorrotti, prefigura uno scenario ancora in corso di definizione: «La modifica», dice, «ha annullato gli effetti dopo le sentenze di condanna in primo grado». In realtà sarà così se e quando fosse approvato il lodo Conte bis: per ora la norma in vigore blocca la prescrizione anche per gli assolti. A riprova che fa bene il guardasigilli a ipotizzare investimenti non certo per rafforzare la linea dura in campo penale, ma per consentire piuttosto ai detenuti di reinserirsi con dignità.