«Il carcere è un ozio senza riposo, ove il facile è reso difficile dall'inutile». Questa frase, incisa sui muri del carcere di Massa Carrara, rappresenta una testimonianza cruda e diretta dell'esperienza carceraria. Con poche parole, cattura l'essenza di un sistema che spesso fallisce nel suo intento riabilitativo, trasformando il tempo di detenzione in un periodo di stasi forzata e frustrazione. Questo paradosso, dove l'inattività diventa una forma di punizione aggiuntiva, è stato al centro dell'attenzione dell'Osservatorio sulle partnership pubblico- private di The European House – Ambrosetti ( Teha).

L'organizzazione si è posta l'ambizioso obiettivo di ribaltare questa realtà, proponendo un modello carcerario innovativo che pone il lavoro al centro del processo di riabilitazione e reinserimento sociale dei detenuti. In occasione del Forum di Cernobbio l'Osservatorio ha presentato uno studio dal titolo eloquente: “Recidiva Zero. Istruzione, Formazione e Lavoro in Carcere: dalle esperienze progettuali alle azioni di sistema”. Questa ricerca, commissionata dal Cnel, getta luce su una realtà allarmante del sistema carcerario italiano. I dati emersi sono sconcertanti: solo il 33% dei detenuti è coinvolto in attività lavorative. Questo dato, già di per sé preoccupante, nasconde un'ulteriore criticità: l' 85% dei lavori sono alle dipendenze dell'Amministrazione penitenziaria. Ciò significa che la stragrande maggioranza delle opportunità lavorative offerte si limita a ruoli interni al carcere, spesso caratterizzati da un basso valore aggiunto sia in termini di competenze acquisite che di prospettive.

I NUMERI DEL FALLIMENTO

Nonostante la normativa vigente preveda diverse forme di impiego per i carcerati, la realtà sul campo rivela criticità e disparità che ne limitano il potenziale trasformativo. Attualmente, come emerge dallo studio di Teha, i detenuti possono lavorare sia alle dipendenze dell'Amministrazione penitenziaria che per datori di lavoro esterni. Nel primo caso, che può svolgersi all'interno o all'esterno del carcere, la remunerazione è fissata a due terzi di quanto stabilito dai contratti collettivi nazionali. Il lavoro per datori esterni, invece, può essere intra- murario o extra- murario, con un importante impulso dato dal Regolamento di Esecuzione dell'Ordinamento penitenziario del 2000. Questo ha aperto la strada a collaborazioni significative tra il sistema carcerario e i privati, permettendo alle imprese di assumere detenuti direttamente all'interno degli istituti, utilizzando gratuitamente spazi e attrezzature esistenti. I numeri del 2023 dipingono un quadro complesso: il 33% dei detenuti, pari a 19.153 persone, è coinvolto in attività lavorative. Tuttavia, la distribuzione di questi impieghi rivela squilibri significativi.

L' 85% lavora per l'Amministrazione penitenziaria, mentre solo l' 1% è impiegato presso imprese private e il 4% presso cooperative sociali. Il restante 10% si divide tra lavoro all'esterno e regime di semi- libertà. Dietro queste cifre si celano ulteriori problematiche. Molti detenuti che lavorano per l'Amministrazione Penitenziaria lo fanno per poche ore al giorno o al mese, o per periodi brevi. Le direzioni degli istituti, per mantenere livelli di occupazione sufficienti, spesso riducono gli orari di lavoro o implementano sistemi di turnazione. Il lavoro alle dipendenze dell'Amministrazione ha ulteriori criticità, con l' 82,5% dei detenuti che svolge servizi d'istituto, con una qualificazione professionale limitata. La scarsità di strumentazioni adeguate, gli orari ridotti e le limitate opportunità di sviluppare relazioni interpersonali ostacolano l'acquisizione di competenze realmente spendibili all'esterno. Esistono, poi, marcate disparità geografiche: un divario di 15,1 punti tra la Lombardia e la Valle d'Aosta, con la percentuale più bassa.

CRITICITÀ PER CARCERE E IMPRESE

Sempre secondo lo studio di Teha, il sistema carcerario si trova ad affrontare una serie di sfide strutturali che ostacolano l'efficace implementazione di programmi lavorativi e formativi. Molte strutture mancano di spazi adeguati, mezzi e tecnologie necessarie per lo svolgimento di corsi di formazione professionale e attività lavorative. Il sovraffollamento cronico aggrava ulteriormente la situazione, portando a un aumento degli eventi critici e complicando la gestione delle attività lavorative e formative. Inoltre, si registra una carenza di personale dotato di competenze tecniche e manageriali, figure essenziali per agire da interlocutori e promotori nella creazione di Partnership Pubblico- Private. Un altro ostacolo significativo è la mancanza di una governance integrata che coinvolga Amministrazioni centrali, autonomie locali, terzo settore e forze produttive. Per le imprese esistono vincoli derivanti dai regolamenti aziendali, come i limiti di privacy nella gestione dei dati, e la lentezza burocratica nel processo di assunzione dei detenuti costituiscono significative barriere all'ingresso. Una volta superate queste barriere iniziali, le imprese si trovano a fronteggiare altre difficoltà.

La mancanza di una cultura pro- business all'interno delle carceri, l'assenza di interlocutori operativi specializzati e l'inadeguatezza degli spazi interni utilizzabili riducono la competitività del lavoro in carcere. L'alto turnover e la mancanza di garanzie e flessibilità lavorativa, dovuta alla detenzione, rendono ancora più complessa l'assunzione di detenuti. Non va sottovalutato, infine, l'impatto della stigmatizzazione sociale. Nel frattempo si è insediato al Cnel il “Segretariato permanente per l’inclusione economica, sociale e lavorativa delle persone private della libertà personale”, presieduto dal consigliere Emilio Minunzio, per promuovere la cooperazione interistituzionale e concorrere, attraverso il coinvolgimento sistematico delle parti sociali, delle forze economiche e del terzo settore, alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi per il reinserimento socio- lavorativo e l’inclusione dei detenuti.

VERSO NUOVI MODELLI

Per superare queste criticità e incrementare il lavoro in carcere, secondo quanto emerge dallo studio, è necessario guardare a modelli sistemici che possano garantire ai detenuti percorsi formativi e lavorativi adeguati, in linea con le loro esigenze e le richieste del mercato esterno. In Europa, il Regno Unito offre esempi interessanti di Partnership Pubblico-Private nel settore dell'istruzione e formazione dei detenuti. Un caso emblematico è quello di Prisoners Education Trust, un'Ongche sostiene i detenuti nell'acquisizione di competenze attraverso lo studio a distanza. I risultati sono incoraggianti: il 40% dei partecipanti ha continuato gli studi, il 24 % ha fatto domanda di lavoro (con un aumento del 20% della probabilità di trovarlo), e il 36% ha intrapreso percorsi di volontariato, con una riduzione media della recidività del 20%.

Un altro modello di riferimento è il sistema scandinavo, fondato sulla riabilitazione e sul mantenimento dell'umanità dei detenuti. Questo approccio si traduce in un minor numero di persone in carcere, una bassa recidività e migliori prospettive di impiego. Non a caso, Islanda, Finlandia e Norvegia sono i tre paesi con la popolazione carceraria minore in Europa, con una media di soli 46,3 detenuti ogni 100.000 abitanti. Questi esempi dimostrano che è possibile creare un sistema carcerario più efficace e umano, che prepari veramente i detenuti al reinserimento nella società.