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Allarmante? Ma no. Innanzitutto non è per nulla scontato che il Movimento cinque stelle vinca le elezioni. E poi prima che la svolta giustizialista si consumi davvero non è detta l’ultima parola. Eppure i segnali degli ultimi giorni arrivati in materia di politica sulla giustizia non possono rassicurare, e meritano quanto meno un certo grado di vigilanza. Ci sono tre circostanze più o meno concomitanti, o manifestatesi in rapida sequenza. Innanzitutto la svolta “anti– casta” della corrente di Piercamillo Davigo nei confronti del Csm. Quindi il distillato programmatico dei grillini su intercettazioni, prescrizione, attività politica dei magistrati e altri annunci di “riforma”. Infine la conferma definitiva arrivata dal pm Nino Di Matteo sulla sua ormai imminente discesa in campo al fianco dei pentastellati. E forse proprio da quest’ultimo episodio vale la pena di partire.
Di Matteo ha chiarito in maniera precisa il suo punto di vista: l’impegno politico può essere «la naturale prosecuzione» del servizio prestato in magistratura. E, ha aggiunto l’atro ieri all’agenzia Adn– Kronos, «non escludo nulla» quanto a futuri incarichi di governo. Prima però «porto a termine il processo Stato– mafia». Ecco, basta combinare le due affermazioni: in pratica il sostituto procuratore Antimafia, ma ancora “applicato” al processo trattativa, ha già condotto una battaglia che rappresenta il “cuore” del suo impegno civile, l’indagine che lo vede appunto titolare dell’accusa a Palermo nei confronti dei presunti protagonisti del patto tra Stato e cosche. Un’inchiesta che ancora non è chiaro a quali esiti possa condurre dal punto di vista delle condanne. Ma certo Di Matteo ritiene che persino qualora non si arrivasse a punire i presunti colpevoli, il suo lavoro d’inchiesta avrà comunque assicurato al Paese un preziosissimo squarcio di verità su quanto avvenne nei primi anni Novanta. È la tesi sostenuta esplicitamente in un’intervista al Fatto quotidiano di ieri da Piergiorgio Morosini, oggi togato del Csm e gip del procedimento Stato– mafia. Secondo Morosini, in particolare, l’annullamento della condanna di Contrada non cancella la gravità dei rapporti tra alcuni pezzi delle istituzioni e la criminalità mafiosa. Di Matteo pare collocarsi sulla stessa linea: anche se non arrivano le condan- ne, l’importante è riscrivere la storia. E se è così, in cosa consisterà la “prosecuzione politica” dell’impegno magistratuale? È assolutamente probabile che si tratti di una campagna permanente di accuse e dietrologismi sulla mafia che ancora oggi si nasconde dentro lo Stato, nel potere, nelle forze occulte.
Buono a sapersi, si direbbe. Ma se Di Matteo portasse queste profonde convinzioni al Viminale, da ministro dell’Interno, siamo sicuri che l’equilibrio e l’autorevolezza delle istituzioni ne usciranno rafforzati? Si vedrà. Si tratterà di verificare la forza di una simile lettura dei fatti combinata con i progetti dei cinque stelle in materia di giustizia: prescrizione bloccata al massimo dopo la condanna in primo grado, intercettazioni a mezzo trojan anche in casa dei presunti corrotti, e altro ancora. Una politica della giustizia fondata sul sospetto e su un progetto da moderni Savonarola. Se a questo incrocio tra giustizialismo pentastellato e pm antimafia legati a determinate tesi sui rapporti tra Stato e cosche aggiungiamo l’offensiva di Davigo contro il Csm, si comprende a che tipo di scenario si va incontro: una sorta di Grande Reazione Moralista che non risparmierà nessuno. Neppure gli stessi magistrati. Il Consiglio superiore rischia di diventare la nuova Bastiglia da prendere e liberare. Il gruppo Autonomia & Indipendenza, guidato appunto dall’ex pm di Mani pulite, lo ha detto con chiarezza: ci batteremo per cambiare il sistema di nomina delle toghe, perché l’attuale è basato sull’appartenenza anziché sul merito. Bene. Una nuova stagione di “mani pulite” su annuncia. C’è solo da chiedersi che sembianze avrà, stavolta, l’outsider che nel ’ 94 scompaginò i giochi e che allora si chiamava Silvio Berlusconi. Non è detto che si presenti con lo stesso profilo liberale, popolare e soprattutto democratico.