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di matteo strage via d'amelio
«Il tema dell’abolizione dell’ergastolo ostativo inteso davvero come fine pena mai è un tema che è stato sempre a cuore alle mafie, ai vertici di Cosa Nostra e non solo di Cosa Nostra, fin dai tempi in cui una riforma in tale senso costituiva uno degli obiettivi della campagna stragista tra il 1992 e il 1994. Oggi il paradosso è che proprio alcuni di quelli che sono stati condannati per aver organizzato ed eseguito quegli attentati potrebbero accedere ai benefici e uscire dal carcere, a distanza di 30 anni da quelle stragi potrebbero essere liberati proprio coloro che sono stati condannati per quelle stragi». Lo ha detto Nino di Matteo, componente del Consiglio superiore della magistratura, parlando con i giornalisti a Catanzaro a margine di un dibattito sul tema dell’ergastolo ostativo. «Da questo punto di vista - ha aggiunto Di Matteo - credo che il decreto legge sia un segnale di attenzione importante nella lotta complessiva al sistema mafioso, è sicuramente un decreto che potrà essere migliorato ed emendato in fase di conversione in legge». Sono tanti i problemi che si pongono. È comunque - ha osservato il componente del Csm - un tema molto delicato, nel senso che le aspettative delle mafie su questa vicenda sono tante, e certamente lo Stato in tutte le sue componenti dovrà dimostrare di non sottostare a eventuali ricatti mafiosi che possono essere ancora in atto proprio, tra gli altri temi, sul tema dell’ergastolo». «La mafia ancora si aspetta dalla politica il raggiungimento di obiettivi precisi: uno di questi è l’abolizione dell’ergastolo, l’attenuazione del regime del 41 bis, ma si aspetta anche che la politica in qualche modo ridimensioni i poteri di indagini del pubblico ministero, renda più difficili le inchieste, le intercettazioni e tutto quello che può mettere in luce eventuali contatti e rapporti tra le mafie e altri poteri». Secondo Di Matteo, inoltre, «oggi stiamo assistendo al paradosso per cui collaborare con la giustizia non conviene più o comunque non è così conveniente dal punto di vista delle conseguenze processuali e penitenziarie rispetto a quanto lo fosse prima. La proposta del senatore Scarpinato può essere una ulteriore base per una modifica, per miglioramento del decreto legge in sede di conversione anche perché - ha concluso il componente del Csm - non credo che possa passare l’idea che lo Stato non è in grado di proteggere un collaboratore di giustizia».